A cena con il nemico

Nell’a.s. 2009/2010 la Scuola Media “Leonardo da Vinci” di Sant’Ilario d’Enza (Reggio Emilia) partecipò al concorso dedicato alla shoah “Lezioni di memoria per non dimenticare”, promosso da Coopsette. Il concorso prevedeva una sezione di letteratura e una di disegno, e tutti i vincitori, insieme a studenti di altre scuole della provincia, si recarono in viaggio al campo di concentramento di Mauthausen, nei pressi di Linz (Austria). La classe 3D si cimentò in entrambe le prove, e qui presentiamo uno dei testi finalisti di quella classe, poi selezionati per comporre un libricino autoprodotto, dal titolo “Sguardi nel passato”.

 

Eccomi qui con il respiro affannoso cercando di capire il perché di questa strana situazione, sarà che io sono molto tradizionalista però è strano molto strano stare di fronte a uno schifoso tedesco, che per di più è anche il mio fratellastro... Ah scusate, non mi sono presentato ancora, io sono Joseph Bernstein nato ad Auschwitz (ebbene si, proprio il famoso campo di concentramento dove purtroppo sono morte più di un milione di persone) il 27 gennaio 1945, il giorno della liberazione, il giorno del ritorno a casa, il giorno tanto atteso, il giorno in cui siamo usciti da quell’incubo chiamato olocausto. Penso che abbiate capito che sono ebreo, sono ebreo solo di nome perché non sono mai entrato in una sinagoga e non ho mai neanche pregato, però per i tedeschi eravamo tutti uguali. Arrivato a questo punto, penso che vi debba per forza raccontare tutto dall’inizio e non dal mio inizio.
	La mia mamma era una bellissima ebrea, non lo dico perché era la mia mamma ma perché era veramente bella. Era alta, dai lunghi capelli rossi e una bocca rosea dalla forma arrotondata, i suoi occhi beh i suoi occhi erano di un azzurro cielo e ogni volta che ti guardava ti riempiva di gioia. Lei era un'eccellente pianista, aveva delle dita lunghe ed ogni volta che si poggiavano sui tasti del pianoforte tutt'attorno a lei diventava un’insolita armonia. Quando lei suonava tutto aveva un senso, però questa sensazione non la potrò mai assaporare, perché io sono orfano. Beh torniamo alla nostra storia, eravamo rimasti al suo lavoro, "la pianista", il suo lavoro, la sua rovina, infatti, lei pensava che essendo una persona dotta i nazisti non si sarebbero azzardati a torcerle un capello invece...
	Lui il "nemico" è uguale a lei ed è per questo che lo odio di più, perché sì e azzardato a rubarmela, infatti, ha i capelli rossi come lei, ha i suoi occhi azzurro cielo e quelle sue labbra rosee. Lo detesto.
	Elga, così si chiamava la mia mamma, quel giorno era appena tornata dal lavoro e stava preparandosi ad uscire quando il campanello suonò e da quel momento la sua vita da essere vivente finì.
	Lui continua a parlarmi continua a raccontarmi la sua vita mentre l'unica cosa che il mio cervello riesce a fabbricare e che io ho ucciso mia mamma.
	Mentre veniva trasportata insieme ad altre centinaia di persone sul treno merci Elga pensava al futuro, forse era l’unica, forse no. Il treno merci era lurido, era sporco ed era pieno di persone e non tutte erano ebree non tutte avevano questa "colpa"...
	Giunti a destinazione a mia mamma, anzi a tutti, tagliavano i capelli e poi li svestivano e facevano loro delle domande e se non sapevi rispondere bene era la fine. Per fortuna mia mamma trovò un inquisitore giovane che era cotto di lei, alla domanda: che lavoro fai? lei rispose fieramente pianista, lui si mise a ridere e le disse sottovoce avvicinandosi al suo collo candido, quasi toccandolo con le labbra infangate da tante colpe: "Elga tu da oggi sarai dottoressa se vuoi salvarti la pelle". Mia mamma per il seguente anno fu una dottoressa.
	Per un attimo, distaccandomi dai miei mille pensieri, riesco a cogliere quello che Lui mi dice, le parole mi piombano addosso come macigni come se mi stesse togliendo piano la mia linfa vitale, infatti, mi racconta della sua splendida famiglia e dei suoi figli, e mi dice che dovrei essere fiero dei miei nipoti perché sono veramente belli e in gamba, stupido nazista, come può pensare mai che io possa esser fiero di quelle persone che avevano un albero genealogico infangato di mille e mille morti.
	Mille erano i morti che mia mamma aveva finito di contare al lazzareth, anzi no sono mille e due, urlavano le "dottoresse", per oggi abbiamo finito, tanto loro moriranno fra non meno di un'ora. Sul letto davanti a loro ammassati come dei vermi c'erano cinque persone, delle quali tre erano morte e le altre due non avevano un aspetto diverso ma erano vive, erano corpi vivi, erano muselman, erano corpi senza anima desiderosi di morire al più presto. Le persone lì attorno erano talmente abituate a vedere la morte che ormai non se ne accorgevano nemmeno più se uno era vivo o morto.
	Lui mi racconta di quanto è felice di rivedermi e di quante cose faremo insieme, io continuo a fare cenno di si con la testa, anche se non sento nemmeno una sua parola.
	Dopo cinque mesi di inferno la mia povera mamma non era più la bella donna dai rossi capelli e aveva perso il suo fisico statuario ma la si poteva riconoscere solo dai suoi occhi pieni di speranza, pieni di speranza fino all'ultimo respiro.
	Gli stessi occhi speranzosi in attesa di una risposta li ritrovo in Lui, forse aspetta una mia risposta, forse è in attesa di un mio parere e senza sapere cosa rispondere faccio cenno di sì e lui tranquillamente continua il suo monologo.
	Passò un anno ed Elga continuava ad assomigliare sempre di più ad una vecchietta affamata, contava i giorni, erano 367. Il 367° giorno lo vide, vide David ex marinaio ebreo ed anche mio padre e si innamorò.
	Lui riuscì per un breve momento a distogliermi dalle mie fantasie con un argomento molto difficile per me da sopportare, la sua nascita, visto che eravamo fratellastri dovevamo avere un genitore in comune e purtroppo era mia mamma, dovevo condividere mia mamma con il nemico.
	Le giornate di mia mamma erano divise tra il lazzareth dove faceva il suo "mestiere da dottore", la spartizione del cibo e David. La sera riusciva a stare ore e ore su un letto a castello insieme a David e a altre cinque persone, riusciva a parlare e riusciva ad amare. Per lei la sera era l'unico modo per scappare dall'incubo e raggiungere un luogo chiamato sogno in cui riusciva a stare da sola con David.
	Lui mi racconta che mia mamma, osa chiamarla mamma, lo odio, lo detesto, dice che Elga cinque anni prima che andasse ad Auschwitz era legata a un colonnello di nome Karl Kraft, con cui fece un figlio, Alexander, cioè Lui.
	Era il 400° giorno ad Auschwitz e Daniel era preoccupato perché sapeva che fra poco sarebbe stato scoperto e sarebbe stato ammazzato, le SS avrebbero subito visto il ventre di Elga gonfiarsi a poco a poco e da lì saremmo morti tutti e tre.
	Alexander mi dice che quando nostra madre (questo modo di chiamare MIA mamma mi irritava ma non tanto quanto prima, forse perché mi abituavo alla sua presenza e all'essere consanguinei? Giammai! Io lo odio! Mi ripetevo solenne) era rimasta incinta voleva abortire, come volevano fare con me, ma poi alla fine il generale Karl le fece cambiare idea.
	David continuava ad assillarla, continuava a dissuaderla dall'idea di tenere quel figlio, le ripeteva: "Cara moriremo, moriremo tutti e tre", ma lei da testarda Bernstein che era gli ripeteva sempre che questo pargoletto lo aveva sempre desiderato (mia mamma fino alla morte tenne il segreto, nascose a tutti di avere anche un altro figlio) e alla fine papà si rese conto che comunque andassero le cose sarebbero morti tutti e che comunque per l'eccessiva magrezza di mamma non si sarebbe neanche visto il piccolo pargolo che cresceva dentro di lei.
	Lui continuava a dirmi della bella vita che aveva fatto con suo padre, e che dopo la liberazione non avevano smesso un minuto di cercarmi, pensava che io ci credessi? Ah ah stupido consanguineo.
	Passavano i mesi ed io continuavo tranquillamente a crescere al calduccio nutrito una volta ogni giorno, mentre fuori mia mamma soffriva atrocemente, mi odio, quasi più di quanto odio Lui, mi odio perché mentre io facevo la mia siesta mia mamma piano piano moriva, mentre io acquistavo piano piano conscio e inconscio, lei piano piano perdeva ricordi, perdeva tutto, tutto tranne quegli splendidi occhi ormai non più tanto azzurri ma lo stesso pieni di amore, amore per quella creatura malefica che le struggeva la vita.
	Alex mi dice di quanto è felice per avermi ritrovato, e di quanto si sentiva legato a me, anche se eravamo distanti, sprizzava amore da tutti i pori, io, forse perché non ero abituato a tutto questo affetto, ne ho terrore, ho paura, non voglio che mi ferisca, non voglio affrettarmi a legare con mio fratello.
	Era il 27 dicembre del 1944, David e mia mamma erano nella piazza per la conta mattutina, lui reggeva un morto da una parte e mia mamma reggeva una donna ammalata. Elga era già all'ottavo mese ed io da piccolo diavolo cominciavo a scalpitare proprio nei momenti più sconvenienti, le SD stavano quasi arrivando da lei quando io cominciavo a farmi sentire, davo calci a destra e a manca e lei da santa donna quale era sopportava tutto diligentemente, senza fiatare ma sul suo volto si vedevano segni di dolore. La guardia, quasi come se avesse avuto un sesto senso, urlò: "55432 c'è qualche problema?" Mia mamma tranquillamente disse di no, e io quasi magicamente mi riaddormentai nel dolce grembo di quella splendida creatura. David che stava dietro a mia mamma era come impietrito e appena le guardie urlarono "Schnell! Al lavoro scansafatiche" si mise a piangere. Mio fratello ora mi temeva per mano e mi guardava dolcemente negli occhi, quasi come se mi stesse ungendo il cuore con una speciale medicina, la cura. Dentro di me c'era un vortice di emozioni, sentimenti, era come se le parole quasi materne di quella bizzarra personcina mi avessero creato una crisi identitaria, mi stavo porgendo mille domande, come potevo io da buon ebreo amare un tedesco, come potevo io da figlio di mia mamma amare uno che apparteneva alla razza di quelli che l'hanno uccisa?
	Era la notte tra il 26 e il 27 gennaio 1945, nel campo si sentiva aria di liberazione, si vedevano già gli aerei Russi arrivare tutti urlavano e piangevano tutti erano felici, tutti tranne una piccola donnina magra ma con una strana pancia prorompente, tutti erano felici lei invece piangeva, era Elga, era mia mamma che piangeva da due giorni in continuazione.
	Cosi pure io e Alex piangevamo abbracciati l'uno all'altro.
	Elga ormai aveva solo me al mondo, David era stato ucciso da un colpo di pistola due giorni prima perché aveva tentato di rubare da mangiare per lei, rubare da mangiare per me. Mi odio, anche mio padre è morto per colpa mia.
	Era il 27 gennaio 1945, i salvatori erano già arrivati al campo e ci stavano aiutando, stavano aiutando anche mia mamma che piangeva fiumi di lacrime ma a un certo punto fu interrotta da un dolore atroce e fu subito immersa d'acqua, fu subito aiutata e messa su un lettino e da allora piano piano perse la coscienza. Dopo ore si risvegliò e chiese subito di me, mi portarono coperto da mille fasce, piangendo, forse urlando l'amore che io provavo per lei, forse solamente perché ero affamato.
	L'unica cosa che mi dissero fu che Elga è morta felice perché tra le sue braccia teneva me, mi rincuoravano sempre dicendo che lei era troppo debole e ha dunque desiderato che fossi io quello a dovere vivere. Ma perché?
	Non so come andrà a finire questa storia strana so solo che da buon ebreo ho imparato che bisogna perdonare, Alex è mio fratello, è l'unica cosa che mi è rimasta e so anche che lui non avrebbe mai ucciso sua mamma.
	Tutti noi dovremmo pensare al bicchiere mezzo pieno, non dobbiamo mai pensare che tutte le persone sono uguali, e non dobbiamo pensare neanche che tutti i tedeschi avrebbero agito come Hitler. Io so solo che mio fratello è parte di me, tutti i giorni siamo messi a confronto con delle prove ma io e lui le supereremo insieme perché abbiamo vissuto quel periodo, abbiamo vissuto il dolore e tutti e due ci siamo confrontati con delle perdite.
	Piano piano sto capendo di non essere io il colpevole della morte dei miei genitori, tutto questo grazie ad Alex, e ai miei splendidi nipoti di cui sono molto fiero.
	Però io e Alex abbiamo un grande dilemma, forse senza risposta, forse irrisolvibile, forse... Una sola persona avrebbe potuto da sola uccidere sei milioni di persone?
ALEXANDRA, 2010

 

La foto di copertina è stata scattata al Lager di Mauthausen (Austria) nel 2010

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