Lei – L’ultimo uomo sulla Terra… / 4

Lo statunitense Fredric Brown, uno dei massimi scrittori di fantascienza, pubblicò nel 1948 sulla rivista “Wonder Stories” un racconto breve dal titolo “Knock” (tradotto in italiano con il titolo “Toc, toc”), che cominciava così:

“C’è una soave, piccola storia dell’orrore che è lunga soltanto due frasi: — L’ultimo uomo della Terra sedeva solo in una stanza. Qualcuno bussò alla porta…”

Tantissimi, dopo Brown, si sono cimentati nel continuare quel racconto. Lo abbiamo fatto anche noi della 3A (IC Leonardo da Vinci, a.s. 2015/2016), e pubblichiamo qui sul blog i nostri racconti più riusciti:

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L’ultimo uomo sulla Terra era seduto nella stanza. Ad un tratto bussarono alla porta della sua casa domotica. Era spaventato ma anche confuso. Se qualcuno aveva bussato alla sua porta voleva dire che non era l’ultimo della specie, significava che poi tutti questi anni i suoi tentativi di intercettare qualcuno o qualcosa non erano stati inutili. Questi ed altri mille pensieri attraversarono la sua mente in quei secondi prima di aprire la porta. Il contapensieri ne aveva captati tra 1973 e 1977, tutti in una volta.

La mano gli tremava. Non sapeva cosa ci fosse, cosa o chi lo stesse aspettando là fuori. Ma aprì. Fece un profondo respiro e aprì con paura e curiosità l’occhio sinistro.

Nulla. Non c’era nessuno. Eppure lo aveva sentito quel “bum, bum”. Forse era diventato pazzo. Colpa della solitudine. Il paesaggio lì fuori era così primitivo. Sembrava non ci fosse mai stato alcun insediamento umano. Non se la ricordava così, la Terra, quel pianeta distrutto dalla tecnologia che l’uomo non sapeva più controllare. Si fermò ad osservare quella realtà così pacifica, ideale per la nascita di nuovi esseri. Mentre era in contemplazione della natura selvaggia, vide qualcosa muoversi tra i cespugli, anzi qualcuno. Si avvicinò lentamente, spostò un po’ il cespuglio di bacche rosse, e lo vide. Anzi, la vide.

Non poteva credere ai suoi occhi. Era immobile. Strizzò gli occhi dallo stupore, e appena li riaprì, non vide niente.

Ma era sicuro di averla vista. Doveva essere proprio Lei. Non era pazzo, o forse si. Iniziò a correre verso le cascate. Quelle più alte d’Etiopia. E lì altri 1977 pensieri gli passarono per la testa. Si sedette in riva alle cascate. L’acqua era gelida. Era così pura. La assaggiò. Quella delle scorte non aveva questo sapore. Un sapore puro. Indescrivibile.

Alla sera tornò a casa, l’unica briciola di modernità rimasta sul pianeta.

Si sedette al tavolo. Aprì una scatoletta, il cui contenuto era ancora un mistero, e accese lo screen. Lo screen è il nuovo nome della TV. Solita routine. Solite cose da dieci anni. Con i nuovi metodi di conservazione degli alimenti e le risorse d’acqua, sarebbe sopravvissuto finché il suo fisico non ce l’avrebbe più fatta. E lui questa sensazione già la sentiva. Il problema è la mancanza delle persone care, insomma lui aveva perso tutto: la sua famiglia, i suoi amici, e la donna che più amava al mondo, Lucy. Ed ecco di nuovo 1977 pensieri. Non riusciva a capire il perché di quel numero. Ci fu un silenzio abissale. Poi, un rumore. Era ancora Lei, sicuramente. Avrebbe potuto starsene al sicuro in casa, ma provava una particolare attrazione per Lei. Allora, nel bel mezzo della notte, uscì. Di giorno era meraviglioso il paesaggio, ma di notte era spettrale, completamente buio. All’improvviso vide una luce, come quella dei fari di una navicella. Fece un cenno in aria. La luce andava a intermittenza. Si avvicinava sempre di più. Era una Luciola Laporte. Insomma, una lucciola primitiva. Era grande circa come un tavolo. Spaventosa e spettacolare. Come Lei. La vide di nuovo. Stava cercando di arrampicarsi su un albero.

Cercò di avvicinarla a gesti. Ci riuscì. Lei si girò all’improvviso. Aveva degli occhi stupendi. Nei suoi occhi vide la vita. Eh si, era Lei. Lucy. Australopitecus afarensis. Ritrovata nel 1977. In Etiopia.

La vita stava ricominciando.

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BEATRICE, 2016

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foto di copertina: Romolo Augusto Schiavoni, Donna al sole (Senigallia, 2019)

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