Progetto di Fotografia in Camera Oscura

Giovedì 4 aprile, la nostra classe (2D a.s. 2018/2019) insieme al padre della nostra compagna Rebecca, il fotografo Corrado Bertozzi dello studio Foto Elite, ha trasformato l’aula di scienze in una camera oscura. Prima, però, il papà di Rebecca ci ha fatto una lezione di teoria su cosa è la macchina fotografica, su come si impugna e – la cosa più importante – su come si scatta una foto. Noi compagni ci siamo messi alla prova, in cortile, scattandoci dei ritratti rispettando le regole che il signor Corrado ci ha spiegato durante la lezione teorica. In particolare, la regola fondamentale per scattare correttamente una foto è la “regola dei terzi”: una griglia formata da quattro punti centrali ed altri quattro a destra e a sinistra, che ti permette di rispettare le proporzioni dell’immagine che stai fotografando.

La cosa più interessante è stata lo sviluppo delle nostre foto, infatti nella camera oscura – dove vi erano accese solo due lampadine rosse – abbiamo proiettato le foto attraverso una macchina speciale (l’ingranditore) su di un tavolo, le abbiamo trasportate su un foglio fotografico, trasformandole dal negativo al bianco e nero.

Corrado ci ha spiegato le fasi successive, che abbiamo eseguito per avere definitivamente la nostra foto:

  • abbiamo versato in tre contenitori piani separati acido, acqua e acido;
  • con le apposite pinzette abbiamo immerso nei vari liquidi il foglio fotografico: nel contenitore con l’acido è apparsa l’immagine; nell’acqua lo sviluppo si è interrotto; nell’ultimo acido l’immagine si è fissata;
  • le foto sono state appese ad asciugare su di un filo.

Al termine del laboratorio, abbiamo fatto qualche domanda al fotografo per saperne di più.

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Perché è nata la fotografia e a cosa serviva?

“La fotografia è nata circa 200 anni fa, forse un po’ meno o un po’ di più, ma già 500 anni fa Leonardo da Vinci ideò una camera oscura, un ‘oculus artificialis’. E’ nata con la consapevolezza dei pittori che c’è stato un salto. E così sono arrivate le prime immagini, che sono ritratti, cioè immagini che ritraggono persone, donne o uomini. C’era il bisogno di immortalare la propria bella o il proprio bello in un ritratto, nel quale le persone dovevano riconoscersi. Le prime macchine fotografiche erano veramente rudimentali, erano macchine molto grandi, fatte di legno, che avevano un unico otturatore, un buco nel quale passava l’immagine. Questo buco, che poteva essere piccolo o grande in base alla luce che c’era nell’ambiente, richiedeva tempo per fare la foto. Non come oggi, che si può fare una foto anche di un oggetto in movimento. Il soggetto doveva mettersi in posa per diverso tempo, anche per venti o trenta minuti, e il fotografo doveva riuscire a trovare la giusta inquadratura. Non avendo un obiettivo o un monitor, era difficile da fare. Doveva posizionare il soggetto da ritrarre alla giusta distanza, non troppo lontano nè troppo vicino, per mantenere il soggetto a fuoco, per far si che si potessero vedere eventuali scritte e tutti i dettagli dell’immagine.

Le prime fotografie erano sviluppate su pellicole molto grandi e decisamente più spesse di quelle attuali, che venivano inserite – come le lastre delle radiografie – tra due paratie di protezione di alluminio, completamente scure, e poste sulla parete di fondo della macchina. Il fotografo toglieva la protezione, poi muovendo rapidamente un foglio davanti al foro sulla parete opposta, dava luce e toglieva luce. Era un procedimento rudimentale. Si era scoperto – e possiamo farlo anche noi oggi – che se prendiamo una scatola, facciamo un buco al centro di una delle pareti laterali, la richiudiamo e posizioniamo un oggetto di fronte al buco, illuminato dal sole, esso proietterà la sua immagine all’interno della scatola, ma rovesciata. Anche il nostro occhio vede le immagini al rovescio, è il cervello che le rigira. E la stessa cosa avviene ancora oggi nei vostri cellulari, non è cambiato niente, la foto avviene con lo stesso procedimento: l’immagine rovesciata è proiettata su un micro sensore all’interno del cellulare, il cellulare la riproietta davanti a voi e la vedete diritta”.

Una domanda personale: come è nata la tua passione per la fotografia?

“Quando andavo alle elementari ho fatto un corso di fotografia, partecipavano le classi quinte. Tutti quanti dovevano fare una foto ad un compagno di classe, proprio come avete fatto voi oggi, dopo 45 anni. Io ho fotografato la mia compagna, giù nel giardino della scuola, e tra quelle di tutte le scuole di Reggio Emilia la mia foto è stata quella che è piaciuta di più e ha vinto il primo premio. Lì è nata la mia passione per la fotografia, probabilmente c’era anche prima la predisposizione a fare il fotografo, ma ho iniziato a fare fotografie proprio dopo quel corso – come ho fatto io oggi con voi – dopo quella foto alla Giorgia, una mia carissima amica che ogni tanto vedo e ridiamo insieme per quello scatto, che lei ha ancora”.

Quali sono le sensazioni che prova quando estrae dalla vaschetta una foto venuta bene?

“Ecco, questo possiamo chiederlo a voi, cosa avete provato?”. Diego prende la parola: “Ti senti soddisfatto perché sai che quel lavoro lo hai fatto tu”. “Bravo, e da dove hai cominciato quel lavoro? Dall’inizio!”. “Si, – continua Diego – ho iniziato e ho finito”. “Hai fatto tu un lavoro manuale: hai fatto la foto al tuo compagno, l’abbiamo sviluppata, l’hai stampata e l’abbiamo messa nell’acqua”. Interviene il prof: “E’ come fa un pittore, egli pensa il quadro prima di farlo, lo realizza e lo porta in galleria per essere venduto”. Francesco aggiunge: ” E’ stato bello anche farlo noi e non farlo con un pc, perché ognuno di noi ha le caratteristiche per fare qualcosa di bello”. Anche Rebecca vuole dire la sua: “Mi è piaciuto perché è una soddisfazione quando fai una cosa che pensi sia difficile, ma alla fine se ti concentri riesci a farla bene”.

In questi due incontri, abbiamo sempre fatto un parallelo fra le tecnologie digitali e le tecnologie analogiche, meccaniche. Ma Lei cosa “salverebbe”, di quelle digitali?

Il passaggio dall’analogico al digitale è stato veramente impressionante. Ci sono tante cose da salvare, del digitale: prima di tutto il fatto che abbiate la possibilità di poter lavorare su un’immagine riuscendo ad avere poca spesa e a 360 gradi, cosa che prima non era possibile. Quando scattate una fotografia adesso avete la possibilità di lavorarla col computer in maniera totale, definitiva. Prima la procedura era molto più lunga. Adesso potete dare più spazio alla vostra fantasia, perché avete gli strumenti per far tutto. Siamo arrivati ad un livello per cui Photoshop e tutti gli altri programmi di fotoritocco danno una possibilità infinita, e voi potete sempre aumentarla e far si che la vostra testa lavori, si espanda per trovare nuove regole e nuove tecniche.

Prima c’erano dei fotografi/artisti, adesso ci sono sette miliardi di fotografi/hobbisti. Come cambia il senso di questa attività? E’ ancora un’arte?

“E’ assolutamente ancora un’arte. Ogni giorno si sveglia uno che diventa fotografo dalla mattina alla sera. Lo diventa perché gli strumenti che ci sono adesso ti semplificano il lavoro, ma questo non vuol dire che si diventa fotografi perché si compra una macchina fotografica e col fotoritocco posso fare quello che voglio. La fotografia è ben altra roba. La fotografia è l’abc, vuol dire tempo, diaframma e profondità di campo. Per costruire una casa, ragazzi, bisogna fare le fondamenta. E così per essere fotografi bisogna imparare le fondamenta, a partire da zero. Se volete fare la professione del fotografo come si deve, dovete iniziare con dei corsi base e vedrete che è ben diverso dal prendere una macchina, fare le foto e lavorarle col computer”.

Con le persone ormai abbiamo capito come inquadrarle nei punti di forza, ma se vogliamo riprendere un paesaggio, come facciamo?

“Con il paesaggio è la stessa identica cosa. Quando inquadriamo un paesaggio, cosa abbiamo? Abbiamo un sole al tramonto o un paesaggio di montagna: metteremo le montagne in alto – non in basso – e nei punti di forza. [mostra una foto] Questo è un paesaggio coi punti di forza, vedete? Il fotografo ha decentrato l’albero, l’erba verde è nei primi tre quadrati, ha rispettato una proporzione uguale tra erba, albero e cielo. Per concludere, nonostante i vostri cellulari supertecnologici, non c’è niente da fare! La fotografia è ancora quella, alla base è fatta così. Non c’è qualcosa di nuovo che possa immortalare un’immagine, non è cambiato nulla. Cambia la tecnologia, ma la procedura è quella lì”.

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I commenti dei partecipanti

In classe, infine, abbiamo raccolto tra i partecipanti alcuni commenti sull’esperienza del laboratorio.

Rebecca: “A me questo laboratorio è piaciuto molto, perché è molto interessante sapere come impugnare una macchina fotografica e come saper fare una foto usando la regola dei terzi. Mi è piaciuto anche perché è una cosa semplice da sentire ma difficile da fare. Questo laboratorio può servire a tutti per tutta la vita, perché è una soddisfazione vedere la propria foto fatta bene. Voglio ringraziare Corrado per l’aiuto che ci ha dato e per il suo impegno per spiegare e organizzare tutto”.

Kine: “Il laboratorio mi è piaciuto moltissimo, perché ho imparato tante cose nuove; e ora so come fare delle belle foto sia a me che agli altri. Io sinceramente preferisco fare le foto col telefono, così se sbaglio posso farne un’altra senza pagare, però alla fine la memoria si riempie quindi devi cancellare delle foto o comprare più memoria. La parte della teoria la immaginavo più lunga e noiosa, invece è durata poco ed è stata interessante”.

Alessandro: “Il laboratorio è stato molto bello, mi ha insegnato come fare meglio le foto. Per esempio, decentrare il soggetto per vedere il paesaggio come sfondo: cioè non devi mettere il soggetto al centro, deve occupare i punti di forza. In laboratorio abbiamo stampato come si stampava tanto tempo fa, è stato fantastico. E’ stata una bellissima esperienza”.

Giorgia: “La fotografia è un hobby che a me piace particolarmente, ma quello che mi ha entusiasmata di più è stato fotografare un mio compagno con una macchina che io non avevo mai visto, in quanto appartengo al mondo digitale, dove basta un semplice ‘click’ per avere una foto che, anche se venuta male, può essere trasformata in una foto perfetta. L’emozione è stata anche quella di vedere nascere dalle proprie mani la foto scattata, sapendo di avere a disposizione un solo scatto”.

Favour: “Ho trovato molto interessante il progetto Camera Oscura perché mi è sempre piaciuto fotografare, dato che mio padre ha molte macchine fotografiche, e perciò mi ha un po’ insegnato. E poi in quinta elementare siamo andati prima a visitare lo studio di un fotografo, che poi ci ha fatto sviluppare le foto che avevamo fatto”.

Barbara: “Questo laboratorio mi è piaciuto molto perché mi ha fatto capire quanto sia bella l’arte della fotografia”.

Davide: “E’ stato molto divertente perché è una soddisfazione aver fatto tutto da solo, senza che nessuno ti aiuti. Vorrei rifarlo”.

Natasha: “Ho apprezzato molto il laboratorio, forse una delle cose che ho più apprezzato è stata quella che il signor Corrado si è espresso dicendo ciò che pensava. Il fatto che dietro una foto ci sia così tanto lavoro è straordinario. La sensazione di partire dall’inizio fino alla fine è gratificante”.

Sara: “Personalmente mi è piaciuto molto e mi sono divertita molto, soprattutto a scattare le foto. Quando le abbiamo sviluppate, a parer mio, c’era una bellissima atmosfera. Eravamo sia rilassati, sia concentrati su quello che dovevamo fare. Quando finisci di sviluppare una foto e vedi che ti è venuta bene, ti senti molto soddisfatto. Credo che questa esperienza sia servita e piaciuta a tutti. Noi non sapevamo che si dovesse scattare una foto seguendo la regola dei terzi, ma ora lo sappiamo. Mi piacerebbe rifarlo in futuro e spero che lo facciate anche voi”.

Diego: “Il laboratorio di fotografia che ho frequentato è stato molto affascinante, soprattutto per due motivi: il primo motivo è che abbiamo utilizzato una macchina fotografica analogica, cioè con la pellicola; il secondo è che quando abbiamo sviluppato le foto, nella camera oscura ricreata nel laboratorio di scienze, mi è piaciuto tantissimo vedere la carta bianca che si sviluppava in foto, sembrava quasi una magia. Per me la macchina fotografica è un oggetto importante perché ti concede la libertà di immortalare delle immagini come vuoi tu; nella fotografia rimane impresso il tuo ricordo e si riflette il tuo modo di guardare il mondo”.

 

GIORGIA, PROF. CECALUPO (2019)

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Per chi volesse approfondire i temi di questo articolo, proponiamo la lettura di un breve saggio di Italo Calvino, dal titolo “Le follie del mirino”. Sebbene l’abbia scritta nel 1955, Calvino propone una critica molto interessante, a maggior ragione oggi, con la diffusione delle fotocamere degli smartphone. Buona lettura.

Le foto di questo articolo sono di Bianca, Sofia e Rebecca (2019).

Commenti

  1. biancalasagni

    Questo articolo mi è piaciuto molto e racconta bene queste due bellissime giornate. La cosa che a me è piaciuta di più è stato scattare le foto e scoprire che, grazie all’uso dei punti forti, si possono rendere belle e interessanti anche delle foto all’apparenza banali! Spero che lo rifaremo ancora!

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