Racchiuso in un sacco di emozioni

E’ interessante studiare uno stesso tema da più prospettive. Non è solo l’opinione di molti studenti, l’esperienza ci fa dire che è anche didatticamente più efficace. In questa classe, la 3D del 2016/2017 alla Leonardo da Vinci, si studiava la guerra in italiano (la letteratura neo-realista) e in storia (la seconda guerra mondiale), e Camilla scrisse questo testo, dal punto di vista di un civile che vide il suo paese, la Francia, occupato dai nazisti.

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“Nonno, che cosa è questa cicatrice che porti da anni nel braccio sinistro? Sai, è da un po’ di tempo che la vedo, ma non ho mai avuto il coraggio di chiedertelo”.

“In molti me lo domandano, ma non ho mai detto la verità a nessuno. Molto probabilmente perchè è troppo doloroso pensare all’accaduto. Insomma non so neanche da dove iniziare iniziare, ma ci proverò. Torniamo indietro di molti anni, verso la fine del 1940; a quell’epoca c’era già la guerra, ma forse io ero troppo piccolo per rendermi veramente conto di quello che era realmente. Avevo l’età di 11 anni, e vivevo in un piccolo paesino a nord della Francia, vicino Le Havre, insieme ai miei genitori. Vivevamo in una casa a due piani, poco distante dalla periferia. Per me era tutto normale, andavo quasi tutti i giorni in campagna a giocare con i miei amici. I miei genitori erano molto impegnati durante il giorno; mio padre era un militare francese e quindi la maggior parte delle volte rimanevo solo con mia madre.

Lei si occupava della casa e a volte svolgeva lavori contadini. Ma ci fu un giorno che mi cambiò la vita. Mi commuovo ancora oggi a parlarne, mi sembra di rivivere le stesse emozioni, le stesse paure. Erano circa le cinque del mattino, quando mi svegliai di colpo a causa del rumore di spari. Non feci neanche in tempo a rendermene conto che i miei genitori mi presero e mi strinsero forte, piangendo. Non riesco a ricordare bene, ma eravamo sotto al tavolo del salotto, e ricordo la paura nelle loro facce, ma io non riuscivo a capire cosa stesse succedendo. Mi dissero di rimanere in silenzio, e che sarebbe andato tutto bene. Mi ricordo bene il rumore di spari, che uno a uno, sembrava sempre più vicino a noi. Solo oggi mi rendo conto che era l’arrivo dell’esercito nazista, che voleva invadere il nord della Francia.

Ad un certo punto, ricordo che i miei genitori si misero proprio all’ingresso della porta, come per sconfitta. Mi lasciarono sotto il tavolo, e solo quando stavano salendo le scale, in qualche modo avvertì il pericolo. Ma proprio in quel momento mi ricordai del buco proprio sotto il tetto, dove molte volte andavo a nascondermi quando giocavo a nascondino. Mi arrampicai in fretta e furia con l’aiuto di un grande pezzo di lamiera, trovatosi per caso nella stanza accanto. Beh, fu proprio con quella lamiera che mi provocai un taglio profondo nel braccio, ma in quel momento non sentivo neanche il dolore. Mi sistemai nel buco; ci stavo a malapena, pur essendo un bambino molto minuto.

Là sopra mi sentivo al sicuro; allo stesso tempo sentivo le urla dei miei genitori, e un soldato gridare: “Nous sommes arrivés!”, uno sparo, subito dopo silenzio assoluto. Da quel momento ho capito che ormai era finita, tutto cancellato. Piangevo, ero impaurito e confuso, ma comunque cercavo di rimanere in silenzio perchè sentivo i loro passi nelle vicinanze. Fecero tutto di fretta, forse perchè credevano che nella casa avessero già ucciso tutte le persone presenti. Trascorsi tutta la notte lì dentro, racchiuso in un sacco di emozioni. Solo il giorno dopo capì di essere vivo, e quando uscì fu una cosa a dir poco orribile. Mi ricordo vagamente, era tutto distrutto, cadaveri che ricoprivano il terreno, non erano più considerate persone, ma solo cumoli di materiale. Questo è quello che mi ricordo, ho visto morire davanti ai miei occhi la mia famiglia, la mia città.

Oggi la Francia è un paese libero, e io sono fiero di questo, perchè dopotutto, la Francia rimarrà sempre il mio paese. Penso anche che sono stato miracolato a sopravvivere, però mi porterò sempre questi ricordi, non se ne andranno mai via, proprio come la mia cicatrice”.

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CAMILLA, 2017

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