Solo una madre

Nell’a.s. 2009/2010 la Scuola Media “Leonardo da Vinci” di Sant’Ilario d’Enza (Reggio Emilia) partecipò al concorso dedicato alla shoah “Lezioni di memoria per non dimenticare”, promosso da Coopsette. Il concorso prevedeva una sezione di letteratura e una di disegno, e tutti i vincitori, insieme a studenti di altre scuole della provincia, si recarono in viaggio al campo di concentramento di Mauthausen, nei pressi di Linz (Austria). La classe 3D si cimentò in entrambe le prove, e qui presentiamo uno dei testi finalisti di quella classe, poi selezionati per comporre un libricino autoprodotto, dal titolo “Sguardi nel passato”.

 

Mauthausen,10 novembre 1944

Caro Michael,

questa è la prima lettera che ti scrivo da quando mi hanno deportata a Mauthausen, un anno fa. Lavoro in una fabbrica in paese, e una donna che lavora con me ha una vecchia amica che vive qui e che le spedisce tutte le lettere. Così le ho chiesto se poteva darle anche la mia da spedire, e fortunatamente ha accettato.

Fino ad ora non sapevo come fare a scriverti, ma adesso che ho finalmente trovato il modo, posso dirti tutto quello che mi sono tenuta dentro fino ad oggi.

Non so se sai quali sensazioni ho provato quando ti ho lasciato, il 13 settembre dello scorso anno, a Villa Giulia, sotto la protezione di Padre Adolf. Eri un ragazzino appena quindicenne, eppure nei tuoi occhi vedevo emozioni che un ragazzo della tua età non avrebbe dovuto provare. Mentre ti guardavo entrare a Villa Giulia al fianco di Padre Adolf, pensavo: “Lo rivedrò ancora? Potrò mai riabbracciare mio figlio?”.

Avrei voluto urlare che non ti volevo lasciare, che volevo tenerti con me, ma fu proprio il mio smisurato amore per te che mi impose di lasciarti andare, di salvarti la vita. Ed è questa la cosa di cui sono più felice: averti nascosto. Infatti una settimana dopo hanno arrestato me e tuo padre e ci hanno deportato nel campo di concentramento di Mauthausen. Se non ti avessi portato a Villa Giulia, se fossi venuto a Mauthausen con noi, non me lo sarei mai perdonata.

Qui al campo, figlio mio, è un vero e proprio incubo: io e tuo padre siamo stati separati appena siamo arrivati, e di lui non ho più saputo nulla.

Ogni mattino ci alzano alle cinque e lavoriamo fino a tarda sera, senza mai fermarci se non per i pasti. E che pasti: pochissima zuppa poco densa, sembra acqua. Sono ormai ridotta a pelle e ossa.

Non ho più un nome qui: sono un numero, quello che mi hanno cucito sulla camicia, A-7612.

A me, fin ora, è andata anche bene: non sono finita nel camino. Ti chiederai che cos’è, questo camino. Be’, è un forno crematorio, dove bruciano i cadaveri e, alcune volte, anche persone ancora vive. Poi ci sono anche le camere a gas, oppure un altro modo per eliminarci è seppellirci vivi. Gli ufficiali tedeschi sono mostri di crudeltà.

Questo è Mauthausen, e giuro che ogni giorno ringrazio il cielo per averti risparmiato questa sorte.

Ma questo campo di concentramento non mi ha annullata. Le persone che vedo attorno a me non piangono, non pensano, sono gusci vuoti, automi dagli occhi vitrei, non hanno più un’anima. Io invece no, io sono ancora viva, dentro almeno.

Io piango tutte le sere, come la prima sera che sono arrivata qui, sento una pugnalata trafiggermi il cuore quando vedo il fumo uscire dai camini, rabbrividisco di paura quando gli occhi di una SS incrociano i miei. Non mi annulleranno mai i tedeschi, anche se mi fanno morire di fame, anche se mi insultano, mi picchiano e mi fanno lavorare come una forsennata. Con me non vinceranno, perché io sono e rimarrò sempre Judith, e non sarò mai solo un numero.

Al contrario di quelli che sono qui, io sono fiera di essere ebrea. Ne vado orgogliosa perché fa parte di me, delle mie radici, di ciò che amo e di ciò che sono, ma anche perché so di non essere inferiore a nessuno, anzi sono sicuramente meglio di tutti i tedeschi che compiono questi atti terribili, inumani.

So che questo mio orgoglio può sembrare stupido, ma te ne prego, Michael, non rinnegare le tue radici, perché è come rinnegare te stesso.

Ogni sera, prima di dormire, penso a te, cerco di immaginare il tuo volto. Chissà come sei cambiato, chissà come sei cresciuto! Non essere ribelle, e ascolta sempre i consigli di Padre Adolf, che ti vuole bene.

Non so se ci rivedremo, figlio mio. Ormai sono stremata, magrissima, non ho più la forza di lavorare, e sicuramente una di queste mattine, quando si fa l’appello, mi sceglieranno tra quelli che vanno al crematorio, e la mia vita finirà così, diventerò fumo.

Ma non versare nemmeno una lacrima per me, Michael, perché il tuo sorriso è e sarà sempre la mia gioia. Sii felice il più possibile, affronta la vita con serenità; è tutto quello che ti chiedo.

Ricorda che qualsiasi cosa tu faccia potrà anche essere insignificante, ma è molto importante che tu la faccia. Io veglierò sempre su di te, da buona madre, e sarò con te in ogni momento della tua vita.

Sappi che non ho mai amato nessuno come amo te, e che spero non mi dimenticherai mai.

Tieni questa lettera vicina al cuore, perché è una parte di me. E se sentirai un brivido sulla pelle, è lì che io sarò presente, la tua dolce mamma per sempre.

Un bacio, mamma.

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ALICE, 2010

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La foto di copertina è stata scattata al Lager di Mauthausen (Austria) nel 2010

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