Una lettera dall’Afganistan

Quando gli studenti studiano la lettera, cominciano a pensare a cosa può servire. E’ molto di più di un sms o di un tweet. Quell’anno (era il 2015) la 2A della L. da Vinci scrisse lettere agli attentatori di Charlie Hebdo, al Presidente della Commissione Europea, al giornale israeliano che in quei giorni concitati aveva cancellato tutte le donne dalla foto della manifestazione di Parigi. Poi l’anno successivo la classe passò in terza, e studiò le guerre del ‘900, il genere neorealista, le nuove guerre. Ma Aurora amava davvero scrivere lettere, e così continuò ad usarle nella finzione letteraria.

 

Maggie Parker

Fifth Avenue

New York

2004

Cara Maggie,

ti scrivo per dirti che mi manchi da morire amore mio; non passa giorno in cui io non ti pensi. Sono già trascorsi sei mesi da quando sono partito per l’Afghanistan, ciò significa che, se non è già successo, dovresti partorire a momenti. Sai, sono molto spaventato, non di morire, perché la morte fa parte di noi e del nostro destino, ma di morire prima di riuscire a vedere il viso della nostra bambina, per la prima volta. Ho paura di non riuscire ad esserci, per te e per lei.

Ho paura di non riuscire a sentire la sua prima parola, o di non riuscire a vedere i suoi primi passi. Ho paura di non riuscire ad insegnarle ad andare in bicicletta o non vederla cadere e rialzarsi più forte di prima. Ho paura di non poter accompagnarla all’altare, di non poter assistere ad ogni giorno della sua vita e vederla crescere e diventare una donna. Ho paura di non poterti rivedere più e di non poter invecchiare con te.

L’altro giorno mi sono reso conto di quanto la guerra ci cambi. I miei compagni ed io ci trovavamo a Kunduz. Eravamo accasciati dietro la nostra TYP82, era appena finita una sparatoria durante la quale ho perso il mio migliore amico, Jake, sul colpo. Stavo lì con il suo corpo tra le braccia, a piangere. Per la prima volta in sei mesi ho provato un sentimento che non fosse la sete, la fame o la stanchezza. Per la prima volta in sei mesi mi sono sentito un essere umano. Poco tempo dopo, un soldato afgano si avvicinò a noi affamato e disarmato. Uno dei nostri gli sparò in testa senza neanche averlo lasciato parlare. Andai io a controllare se fosse morto veramente. Lo vidi lì a terra, che giaceva sulla sponda del fiume. Il corpo era quasi completamente sommerso, tranne il capo che era sorretto dall’elmetto. Aveva gli occhi aperti e il sangue che gli colava dalla fronte mischiandosi al sudore sgocciolava nel fiume sporcando l’acqua limpida come aveva fatto con le nostre anime.

Aveva in mano una foto di una donna e una bambina, mi si congelò il sangue, in quel momento pensai a te e a nostra figlia. Noi avevamo tolto la vita a un marito e a un padre, così, come se non fosse nulla. E’ possibile che la morte sia diventata un’abitudine, una cosa “normale”? In quel momento mi sono fatto schifo, mi hanno fatto schifo i miei compagni, mi ha fatto schifo la mia divisa e le armi ma soprattutto la guerra. Mai come in quel momento mi sono reso conto di quanto la guerra sia inutile e disumana.

Dicono che il soldato sia un vero uomo. Ma è errato, la guerra ci ha tolto tutta la poca umanità che ci restava.

Diventare un soldato è sempre stato il mio sogno fin da bambino, perché ti fanno credere che non ci sia modo più giusto per servire la patria. Ma dopo tutti gli orrori che ho visto mi chiedo che giustizia può esserci nel togliere la vita ad altre persone.

Combattere una guerra, qualsiasi sia la motivazione, non ti rende migliore ma semplicemente una pedina che gli altri hanno deciso di muovere.

Siamo padri, figli, fratelli, mariti, fidanzati, amici che hanno lasciato le persone che amano per uccidere altri padri, figli, fratelli, mariti, fidanzati, amici. A cosa è servito?

Con la morte di quell’uomo o degli altri uomini, abbiamo risolto la situazione dell’Afghanistan? E’ servito a qualcosa?

Mai come in quel momento mi sono vergognato di essere un marine. Mai come in quel momento mi sono sentito stupido e impotente, incapace di poter cambiare le cose, perché di certo la mia opposizione alla guerra e alla morte o all’odio, al razzismo e all’avidità non avrebbe cambiato le cose.

Ecco, in quel momento ho pensato: a che scopo?

Ti prometto amore mio che, appena mi sarà possibile, tornerò da te e dalla nostra bambina, lascerò l’esercito e cercherò un lavoro, davvero utile al nostro paese.

Hai già scelto il nome della bambina? A me piace Musawa, significa uguaglianza in arabo, che ne dici?

Ti amo tanto. Per sempre, tuo Glenn.

 

AURORA, 2016

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