Una storia

Nell’a.s. 2009/2010 la Scuola Media “Leonardo da Vinci” di Sant’Ilario d’Enza (Reggio Emilia) partecipò al concorso dedicato alla shoah “Lezioni di memoria per non dimenticare”, promosso da Coopsette. Il concorso prevedeva una sezione di letteratura e una di disegno, e tutti i vincitori, insieme a studenti di altre scuole della provincia, si recarono in viaggio al campo di concentramento di Mauthausen, nei pressi di Linz (Austria). La classe 3D si cimentò in entrambe le prove, e qui presentiamo uno dei testi finalisti di quella classe, poi selezionati per comporre un libricino autoprodotto, dal titolo “Sguardi nel passato”.

.

Questa storia parla di Franz, un uomo che venne chiamato dai nazisti ad andare a lavorare in un campo di concentramento. Ecco una lettera che scrisse ad un suo amico ebreo che si stava nascondendo dai nazisti.

23 settembre 1944

Caro Joseph,

ti scrivo perché ho bisogno di raccontare a qualcuno ciò che ogni giorno vivo qui. Come tu ben sai io sono in questo campo già da qualche settimana, eppure, ancora, non passa un giorno in cui io non senta il bisogno di andare in soccorso di quelle persone che muoiono, spesso anche a causa mia!

Forse sono l’unico, dei soldati che sono in questo campo, che vorrebbe lamentarsi dei modi che vengono usati qui: anche solo per affidare un compito a qualcuno, i soldati usano sempre la violenza.

Tu sei fortunato a non dover vedere queste cose, anzi sei fortunato a non doverle subire; perché se venissi qui vedresti della gente innocente, come te, magrissima perché non mangia da tanto tempo, che deve subire un carico di lavoro pesantissimo.

Spero che per te il momento di vedere tutto questo non arrivi mai, perché qui è un inferno e ogni tentativo di fuga è vano; fidati io ho visto parecchie persone che, avendo tentato di fuggire, si sono ridotte ancora peggio di prima!

Magari dicendoti queste cose ti spavento ancora di più, ma credo che si debba sapere in giro tutto l’odio che è racchiuso in questo campo.

Spero che tu stia bene; aspetterò con ansia una tua risposta,

Tuo affezionato Franz.

.

Dopo parecchi giorni arrivò al campo la risposta di Joseph.

10 ottobre 1944

Caro Franz,

grazie per la tua lettera; io sto bene, insomma nel senso che non sono malato, perché qui le cose non sono migliorate da quando sei andato via. I nazisti continuano a dare la caccia a noi ebrei e l’altra settimana c’è mancato poco che mi scoprissero. Io ero uscito un attimo dalla soffitta in cui mi nascondo e, ad un certo punto, ho visto spuntare davanti a me un soldato della Gestapo; lui era lì tranquillo che faceva il suo solito giro di perquisizione. Fortunatamente io me ne sono andato in tempo, perché, se avessi aspettato solo pochi secondi in più, lui mi avrebbe visto e sicuramente mi avrebbe portato lì al campo!

Io so che prima o poi mi troveranno e mi porteranno al campo di concentramento, ma l’unica cosa che spero è che non sarai tu a farmi ciò che mi dovranno fare lì. Ti dico questo perché se dovesse accadere tu dovresti scegliere se seguire gli ordini di un tuo superiore, quindi se sacrificheresti la mia vita per salvare la tua posizione come soldato, o scegliere di salvare la mia vita dimostrando che sei pronto a dare la tua per un tuo amico… insomma io non ti vorrei creare il problema di questa scelta.

Franz, io so che farai la scelta giusta, se si dovesse presentare l’occasione; per adesso voglio che tu stia tranquillo e che non ti preoccupi.

Stammi bene, tuo Joseph.

.

Franz, dopo aver letto la lettera di Joseph, passava le sue giornate a chiedersi cosa avrebbe fatto se si fosse presentata l’occasione che il suo amico gli aveva descritto: sarebbe stato così crudele da ucciderlo pur di salvarsi, o sarebbe stato quell’eroe che aveva sempre creduto di essere?

Questa domanda lo perseguitò per dei giorni, finché giunse ad una conclusione: decise di non pensarci più perché, come Joseph, anche lui era convinto che avrebbe fatto la scelta giusta al momento giusto.

Così riprese a lavorare nel campo “tranquillamente” come prima.

Un giorno, iniziò a preoccuparsi perché Joseph non gli aveva più inviato sue notizie, allora, durante la sua pausa pranzo, si mise a scrivere una lettera per lui in camera sua. Aveva appena iniziato quando bussarono alla sua porta: Franz andò ad aprire e si trovò davanti un soldato che gli disse che era stato portato al campo un altro ebreo e, mentre gli consegnava un foglietto, disse: “Qui sopra c’è il nome dell’ebreo da riportare sul registro con tutti gli altri nomi”. A quel punto Franz si avviò verso il registro per eseguire il suo compito, così aprì il biglietto e lesse:

Joseph Bernstein”

Franz iniziò a sentirsi male: gli sembrava che la sua stanza avesse iniziato a girare e sentiva tutti i rumori e le voci rimbombargli nella testa.

Dopo aver riportato il nome sul registro uscì dalla sua stanza e iniziò a girare per il campo in cerca di Joseph; quando lo trovò ci mise un po’ a riconoscerlo: innanzitutto perché i suoi vestiti erano tutti stracciati e ridotti male, poi perché era molto magro, dato che nella soffitta in cui si nascondeva non aveva mangiato molto.

Dopo averlo riconosciuto, Franz affrettò il passo e gli andò incontro; mentre si avvicinava sentì che il soldato che lo aveva portato al campo stava cercando qualcuno che facesse visitare il campo a Joseph. Franz non si lasciò sfuggire l’occasione e si offrì di fargli da guida.

Joseph non cercò di riconoscerlo, pensava che fosse un soldato qualunque, allora Franz si presentò: Joseph avrebbe voluto saltargli al collo e abbracciarlo, ma non lo fece perché pensò che avrebbe potuto attirare l’attenzione degli altri soldati quel gesto. I due si parlarono a lungo mentre giravano per il campo e, alla fine, Franz gli assicurò che si sarebbe preso cura di lui e che non avrebbe permesso ai nazisti di fargli del male.

Poi gli spiegò cosa avrebbe dovuto fare e dove sarebbe dovuto andare per dormire, per lavorare e per mangiare.

Ogni giorno Franz faceva una visita a Joseph, per vedere come stava e per essere sicuro che non lo trattassero troppo male, sperando sempre di più che non si presentasse mai l’occasione di dover fare la scelta a cui aveva pensato per molto tempo.

Finché, un giorno, Franz vide che in un punto del campo c’era movimento, così andò a vedere cosa stava succedendo: erano tutti intorno a Joseph che, sdraiato in terra, si contorceva dal dolore; non capendo, Franz, chiese cos’era successo e gli risposero che il ragazzo si era ribellato ad un soldato che gli dava ordini continuamente. A quel punto Franz sarebbe voluto andare da Joseph per prenderlo a schiaffi, chiedendogli cosa gli fosse saltato in mente… ma non lo fece, anzi stette fermo a guardare mentre lo picchiavano per fargli imparare la lezione.

Dopo averlo picchiato, un soldato lo fece alzare in piedi e disse a tutti di tornare a lavorare: anche Franz stava per girarsi, quando il soldato lo chiamò dicendogli di seguirlo. Andarono fino ad un enorme muro interno, dove c’era una puzza orrenda; qui il soldato consegnò a Franz un mitra e lo mise in un punto preciso, poi posizionò Joseph di fronte a lui contro al muro.

A questo punto Franz iniziò a pensare il peggio… infatti il soldato gli ordinò di sparare; panico totale: Franz e Joseph si fissarono per qualche secondo come se ognuno volesse dire all’altro: “Lo sapevo, te l’avevo detto”.

Franz sapeva che sarebbe arrivato questo momento, ma non se lo aspettava adesso: prima gli era facile dire che avrebbe fatto la scelta giusta al momento giusto, ma qual era la cosa giusta da fare ora?

Il soldato gli ripeté di sparare, ma Franz non mosse un muscolo, avendo la mente tempestata da domande su cosa avrebbe dovuto fare; a quel punto il soldato iniziò a minacciarlo dicendo: “O spari o uccido anche te!”. Ecco, la situazione era come se l’era immaginata: era pronto a sacrificarsi per un amico, o l’avrebbe ucciso pur di guadagnarsi la stima dei nazisti?

Dopo un po’ decise: impugnò pian piano il mitra, lo puntò verso il suo amico e, quasi con gli occhi chiusi, iniziò a sparare… Quando si fermò abbassò lo sguardo e vide Joseph steso a terra, non sapeva come sentirsi: un nazista si sarebbe sentito indifferente, quasi felice, per aver appena ucciso un ebreo, ma un essere umano, con un briciolo di coscienza in più, si sarebbe dovuto sentire uno schifo, avendo appena ucciso il proprio amico.

Franz guardò subito il soldato che gli aveva ordinato di sparare: era lì, indifferente, che gli faceva i complimenti per l’ottimo lavoro.

Ora Franz si sentiva un po’ meglio, rispetto a quando Joseph era vivo, era come se si fosse tolto un peso dallo stomaco: non si sentiva così in colpa, come si aspettava, forse perché cose di questo genere le vedeva ogni giorno qui al campo e ormai c’era abituato? Non cercò neanche di darsi una risposta, ma con il soldato si allontanò indifferente.

Questa storia finisce così tragicamente perché dovrebbe far pensare alle cose orribili che un campo di concentramento poteva portare a fare. Ed è a questo che servono le “lezioni di memoria”: PER NON DIMENTICARE…

.

MONICA, 2010

.

La foto di copertina è stata scattata al Lager di Mauthausen (Austria) nel 2010

Lascia un commento