Fake news come virus

Marc Bloch (1886-1944) è uno storico francese di origine ebraica che si ritrovò a combattere nella Prima Guerra Mondiale come sergente di fanteria. Il suo interesse per la storia sociale lo portò ad interrogarsi su un particolare fenomeno oggi molto diffuso, tanto che nel 1921, un secolo fa, scrisse un saggio dal titolo: “Riflessioni di uno storico sulle false notizie della guerra”. Egli affermava che “le notizie false (…) nascono certamente spesso da osservazioni individuali inesatte o da testimonianze imperfette, ma questo infortunio iniziale non è tutto e in realtà in se stesso non spiega nulla. L’errore si propaga, si amplifica e vive solo a una condizione: trovare nella società in cui si diffonde un brodo di cultura favorevole. In quell’errore, gli uomini esprimono inconsciamente i propri pregiudizi, odi e timori, cioè tutte le loro forti emozioni”.

Bloch, in seguito, insegnò storia economica a Strasburgo e a Parigi, e partecipò come partigiano al movimento della Resistenza francese contro l’occupazione nazista. Infine fu catturato e ucciso dalla Gestapo (la polizia segreta nazista) a Lione nel 1944.

Quello che racconta è anche ciò che accade oggi per le cosiddette fake news (la traduzione inglese dell’italiano “bufale“) che nel mondo attuale, grazie al web e ai social network, sembrano dilagare. La sua riflessione è quantomai attuale: le fake news (come i virus), si diffondono tra la popolazione solo se questa non ha sufficienti difese, cioè informazioni e cultura, che possano contrastarle.

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Qualche esempio

Recentemente, durante l’epidemia Covid19, le cosiddette “bufale” sono aumentate a dismisura. Noi non abbiamo le competenze per parlare di quelle relative ai farmaci e alle cure miracolose, o ai complotti (nazionali o internazionali) che sarebbero all’origine della diffusione del virus, ma qualche osservazione possiamo farla su apparenti “notizie” che un qualsiasi studente di scuola potrebbe e dovrebbe smascherare come false.

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1) L’Italia illuminata

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La pagina web del giornale “L’informatore vigevanese” (marzo 2020)

Nei giorni precedenti il 15 marzo 2020 viene lanciato tramite siti web e social network un flash mob, cioè “un assembramento improvviso di un gruppo di persone in uno spazio pubblico, che si dissolve nel giro di poco tempo, con la finalità comune di mettere in pratica un’azione insolita”, come è definito su Wikipedia.

Gli organizzatori invitavano tutti, per le ore 21.00 di quella domenica, a spegnere le luci di casa e accendere la “torcia” del proprio cellulare per puntarla verso il cielo. Secondo loro, la luminosità sarebbe stata visibile dall’ISS (la Stazione Spaziale Internazionale), in orbita in quel momento proprio sul nostro paese.

Come prova della riuscita di questa iniziativa, nei giorni successivi circolava l’immagine di un’Italia inverosimilmente illuminata! Ovviamente si tratta di un’immagine fake creata con il solo scopo di far continuare questa bufala.

La densità della popolazione in Italia nel 2011 (carta ricavata da Wikipedia)
L’improbabile foto satellitare dell’Italia illuminata dai cellulari, diffusa sui social (marzo 2020).

Perché è falsa? Potrebbe spiegarvelo un qualsiasi studente di prima media che abbia studiato geografia.

Cominciamo col dire che la luminosità così diffusa sul territorio della penisola non tiene conto della diversa densità demografica del nostro paese, che è molto alta solo nelle grandi città e in generale sulle zone costiere, ed è invece bassissima nelle aree centrali, lungo la dorsale appenninica e sull’arco alpino.

Miliardi di persone sono andate, in pieno lockdown, sulle montagne per produrre con i propri cellulari una tale luminosità? Davvero inverosimile.

Inoltre, e questo è facilmente intuitivo, l’esagerata luminosità dell’immagine non si può assolutamente attribuire alle “torce” dei cellulari, che producono un fascio di luce insignificante a confronto delle installazioni luminose disposte lungo strade e autostrade, attorno e dentro fabbriche e edifici, nelle aree urbane, sugli autoveicoli, ecc.

Provate a spegnere i fari di un’auto in corsa durante le ore notturne lungo una strada non illuminata e a guidare con la luce del cellulare! Non fatelo, naturalmente, era così per capirci. Ma provate a puntare una “torcia”, di notte, su un oggetto distante solo qualche centinaio di metri. Fatto? Risultato? La Stazione Spaziale Internazionale ruota attorno alla Terra lungo orbite stabilite ad una distanza compresa tra 330 e 410 km dal livello del mare, e produce sì quotidianamente immagini notturne del suolo terrestre, ma che riflettono ovviamente la reale densità demografica e i tracciati delle più importanti vie di comunicazione.

E dunque, qual è il significato, lo scopo di questa “bufala” apparentemente innocua ma palesemente esagerata? Ecco una buona domanda su cui riflettere.

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2) I soliti napoletani

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Totò e Aldo Fabrizi nel film “I tartassati” del 1959 (dal sito www.antoniodecurtis.com)

Non poteva mancare una fake news che confermasse lo stereotipo dei meridionali “scansafatiche”. E così qualche settimana fa si è diffusa la “notizia” che all’Ospedale Cardarelli di Napoli ci sarebbero stati 249 medici in malattia (o in ferie, secondo altri) per non affrontare il coronavirus. Come informa il quotidiano La Repubblica, “è il classico caso di notizia che nasce vera, diventa imprecisa per come viene rilanciata sui social e viene smentita. Tutto parte dalla denuncia sui social del direttore del dipartimento emergenze dell’ospedale, Ciro Mauro, che parla di “operatori sanitari” che si nascondono dietro un certificato medico fasullo. Su molti siti di news i 249 diventano tutti “medici”, dando modo alla direzione sanitaria di affermare che solo 33 medici, su 739, sono in malattia, relegando lo sfogo ad una bufala”.

Ecco quindi la ricostruzione reale: “In realtà al Cardarelli ci sono diversi medici positivi al coronavirus (pare per effetto di una recente cena con primari del nord), e molti infermieri sono stati così contagiati. Questo non esclude che qualcuno, sano, possa aver presentato un certificato medico fasullo, ma non si tratta certo di 249 persone, né tantomeno di tutti medici”.

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3) I saggi versi dei poeti del passato

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Questa storia, che ha colpito molte persone, è sembrata reale a tutti coloro che, dopo aver letto questa notizia, non si sono neanche presi il tempo di verificare se la cosa fosse vera oppure no, ma l’hanno ugualmente rilanciata. La questione delle false citazioni si può far risalire alla poesia, mandata sui social media e in generale sul web nel 2016, che viene firmata con la sigla E.H (è la sedicenne australiana, autrice della poesia, Erin Hanson) e che i social attribuirono a Ernest Hemingway.

Ma le storie di cui vi parleremo ora – legate all’epidemia di covid19 – la superano di gran lunga… la prima è una poesia attribuita il 19 marzo 2020 a Kitty O’Meary (1839-1888) che, secondo il post mostrato sui social, sarebbe stata scritta durante una epidemia di peste nell’Ottocento.

In questa poesia, ci vengono poste delle frasi in cui i soggetti fanno azioni che nell’Ottocento non sarebbero state molto credibili e non si hanno notizie di una epidemia di peste che sarebbe avvenuta in quegli anni. Dopo qualche ricerca si viene a scoprire che Kitty O’Meary non è mai esistita, ma dovrebbe corrispondere per data di nascita e di morte a Kathleen O’Meara, un’irlandese vissuta a Parigi. In realtà la nostra Kitty O’Meary è Catherine “Kitty” O’Meara, non deceduta, ma autrice del blog su cui aveva pubblicato la poesia il 16 marzo 2020.

Il giorno successivo, la poesia rispunta di nuovo, il testo è lo stesso ma questa volta viene attribuita a Grace Ramsey, pseudonimo letterario di Kathleen O’Meara, non viene più riferita all’epidemia di peste, ma si cita un romanzo preciso: Iza’s Story, del 1869, che però parla della lotta dei polacchi contro l’occupazione dei russi, e non ha niente a che fare con la poesia. La poesia diventa virale, e inizia a girare anche sui media tradizionali.

La seconda storia inizia il 30 marzo 2020 su whattsapp. Questa volta ci troviamo nell’antica Grecia, e la poesia è firmata da un “grande poeta” greco.

Il poeta di cui si parla è Eracleonte da Gela, “famosissimo” poeta nonché mai esistito, come svelano rapide ricerche su Internet. In più si scopre anche che Gela nel 233 a.C, anno in cui la poesia sarebbe stata scritta, non esisteva neanche, distrutta cinquanta anni prima da mercenari campani durante la prima guerra punica. Fatto sta che pare esserci stato qualche problema anche nella comprensione del testo da parte di chi lo ha scritto, perchè in testa viene riportata la data 322 a.C e in coda viene riportata la data 233 a.C..

Benché fosse chiaramente un “falso d’autore” (il vero autore è un informatico di Palermo, Marcello Troisi, appassionato di storia antica), anche un uomo politico piuttosto importante l’ha letta in diretta durante una conferenza stampa il 31 marzo. A chi gli ha fatto notare che la poesia non risaliva a duemila anni fa ma al giorno precedente, il suo staff ha risposto “ma è bella lo stesso” (tutta questa vicenda potete leggerla sul blog Eco del nulla)

Che dire, in questo momento abbiamo molto tempo per informarci, e tutte le volte che accendiamo quel telefono, usiamolo per accertarci di certe notizie, per non credere a tutto ciò che ci viene mostrato.

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4) Quei cari delfini nel porto di…

E’ circolato ad aprile 2020 in Italia (ma forse anche in altri paesi) un video che riprende una silenziosa nuotata di alcuni delfini in un porto turistico (un porto a cui attraccano scafi di privati cittadini, non navi mercantili o passeggeri). Le immagini sono molto ravvicinate, non si scorge molto del paesaggio circostante, e per questo motivo la “bufala” era dietro l’angolo. Ma di quale porto si tratterebbe? E quando sono state effettuate le riprese? Su quest’ultimo punto c’è accordo, a quanto pare, poiché quasi tutti quelli che hanno diffuso il video l’hanno accompagnato con espressioni come “in questi giorni”, “oggi”, “stamattina“. Ma sulla località in questione abbiamo potuto, in pochi minuti, ricavare che il poetico avvistamento dei cetacei sia avvenuto a Ostia (Roma), Sanremo, Sestri Ponente, Lavagna, Imperia (in Liguria), Ischia, Salerno (in Campania), Taranto, Giovinazzo, Otranto (in Puglia), Marsala (in Sicilia), Marina di Pisa (in Toscana), Pescara (in Abruzzo). E chissà in quante altre città (segnalatecele nei commenti)!

Coloro che si sono presi la briga di verificare il video hanno scoperto che in realtà le riprese sarebbero state girate in Turchia, nel 2008. E allora perché più di qualcuno se ne è attribuito la paternità? Quale interesse o vantaggio ha spinto queste persone a collocare i delfini nel porto del proprio Comune? Proprio come un virus, la bufala ha subito continue e rapide mutazioni. Certo, è una fake news innocua, non procura un danno a nessuno, ma ci fa riflettere ugualmente.

Il video è stato prontamente cancellato da quasi tutti quelli che l’avevano rilanciato, e i più onesti hanno anche ammesso il proprio errore, scusandosene, ma il danno alla verità quello resta.

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Gli antidoti

E dunque, quali sono gli “anticorpi” contro una fake news? Come già precisato, esiste quindi un grado di tossicità: ci sono fake virali più innocue (che non creano danni materiali di nessun tipo e non condizionano il comportamento delle persone) e fake virali più letali (che danneggiano l’immagine di persone o di interi Stati e possono spingere le persone a compiere atti, dannosi, violenti o illegali, che altrimenti non compirebbero).

Cosa dobbiamo “misurare”, dunque, quando veniamo a conoscenza di una notizia?

Messaggio apparso sui social di Taiwan: “Puoi mostrare il tuo senso dell’umorismo il 1° aprile, ma non puoi prendere Covid19 come uno scherzo. Attenzione! Diffondere false notizie su Covid19 è illegale. Condividi questa immagine, assicurati che il primo di aprile sia salutare e sicuro”. Come dice il simpatico gatto: “Non è divertente” (dal sito www.mustsharenews.com). 

  • il vettore: si tratta di un post di un anonimo cittadino in un social o una pagina web di un ente/istituzione riconosciuta? sottoponiamo la notizia a un semplice controllo sul web: i nomi di persone, i luoghi, gli eventi, le date citate trovano corrispondenza in altri siti più accreditati?
  • le caratteristiche: con semplicissimi “trucchi” qualsiasi fonte può essere modificata in tutti i suoi aspetti: il sonoro, le immagini, il testo, i link che la accompagnano; spesso le fake news sono riconoscibili perché si presentano con una forma ad effetto che crea ambiguità tra tipi testuali diversi, per esempio tra una notizia e una pubblicità; la bufala spesso intende svelarci una presunta verità nascosta, che adesso sappiamo e che ci cambierebbe la vita;
  • l’effetto: chi o cosa può trarre vantaggio dalla diffusione della notizia? qual è, dicevano i latini, il cui prodest? aumenta davvero la nostra conoscenza della realtà o fa solo leva sulle nostre emozioni? oppure alimenta uno stereotipo già presente nella società? alcuni, ingenuamente, confondono tra realtà e finzione, per loro non importa se una notizia è vera o falsa, l’importante è che sia bella.

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Dove informarsi e come difendersi?

  • Il MIUR (il Ministero che si occupa di Istruzione, Università e Ricerca) ha un portale dedicato proprio a questo scopo: il sito Generazioni Connesse, realizzato in collaborazione con altri ministeri, la Polizia di Stato, università e altri enti di ricerca, e co-finanziato dall’Unione Europea, ha sezioni dedicate all’educazione ai media e alla sicurezza in rete.
  • Esiste un decalogo  di difesa dalle fake news elaborato da Melissa Zimdars, professoressa di Comunicazione e Media al Merrimack College in Massachusetts, e pubblicato sul principale quotidiano italiano, la Repubblica.
  • La rivista digitale Wired, che si occupa di nuove tecnologie e del loro impatto sulla società, ha provato a illustrare in cinque semplici step come riconoscere una falsa notizia in rete.
  • Ci sono poi siti specializzati nel debunking, parola inglese che indica lo smascheramento di una falsità. Tra i più noti in Italia c’è Butac (Bufale un tanto al chilo), che al termine di un recente articolo sull’epidemia in Italia scrive: “Ricordatevi di amare col cuore, ma per tutto il resto di usare la testa”.
  • Un altro decalogo per difendersi dalle bufale è stato pubblicato in rete da Paolo Attivissimo (non è uno pseudonimo, un nick name, ma il suo vero cognome!), un giornalista e consulente informatico, studioso della disinformazione nei media.
  • Anche Altroconsumo, la più grande organizzazione indipendente per la tutela dei consumatori in Italia attiva da oltre 40 anni, dà i suoi suggerimenti per riconoscere le bufale online.

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In conclusione, pensiamo che la maniera migliore per non “cascarci” sia non smettere mai di dubitare, di essere curiosi, di andare in fondo alle cose e alle notizie, di esercitare la cautela invece che di strillare, di argomentare le proprie ragioni fornendo prove concrete, di usare il buon senso e l’intelligenza.

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L’articolo è a cura di: YING, FILIPPO, RODRIGO, SARA, CECILIA, PROF. CECALUPO (2020)

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In copertina: a sinistra un meme molto diffuso anche sui social italiani durante il lockdown, la scritta dice: “Cosa significa che non sembra un cane?” (dal sito greco www.dikaiologitika.gr); a sinistra la vera notizia, accaduta però a Pescara nell’agosto del 2015 (da www.ilcentro.it).

Commenti

  1. francesco

    Adesso, anche io credo che presterò più attenzione quando leggo una notizia, e prima di farlo darò un’occhiata a questo articolo per saper riconoscere le differenze

  2. cecilia

    Molto interessante, credo sia molto utile in momenti come quelli che stiamo vivendo ora, dove i media tecnologici sono la maggiore fonte di interesse. Molto utile e ben scritto.

  3. Hui

    Molto utile questo articolo.
    Penso che la prossima volta che inizierò a leggere un articolo mi metterò prima a vedere se posso fidarmi di quell’articolo o se sono delle fake news

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