Groenlandesi: The End

Al termine di un laboratorio di storia sulle colonizzazioni vichinghe in America Settentrionale, due alunne della classe 1D (a.s. 2018/2019) hanno realizzato questa “intervista impossibile”, divertente e allo stesso tempo istruttiva.

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Salve a tutti i lettori, sono Romeo Fornacelli e vi guiderò nel passato. Questa volta ho fatto un viaggio nel carissimo XV secolo a trovare l’ultimo moribondo dei vecchi groenlandesi europei, il signor Sven Galti.

Mi diressi a Bergen, in Norvegia, da dove ogni sei mesi partiva una nave per portare i beni europei alla colonia di Brattahlid. Quando arrivai in Groenlandia, Sven mi accolse chiamandomi skraeling, che all’inizio pensavo fosse un complimento, poi con mio dispiacere sono venuto a conoscenza del vero significato nella lingua norrena: pezzente.

Sven mi portò all’ultimo alloggio groenlandese. Era una casa costruita prevalentemente in pietra, con travi di legno a supporto, poi era quasi interamente ricoperta di torba, un deposito composto essenzialmente da resti vegetali, tolto dal terreno. Entrai e mi spaventai a morte quando vidi quella creatura: era talmente vestito che sembrava un barboncino, e io che mi ero portato il costume da bagno… uff… vabbè. All’inizio mi guardò storto, come se quello strano fossi io, oltretutto puzzava in un modo indescrivibile; subito mi offrì da mangiare, e capii che cercava di avvelenarmi, cercai dopo su internet e scoprì che era una cosa sudicia, ripugnante, indescrivibile: grasso di balena. Dopodiché gli feci qualche domanda.

Eccoci qui, signor Sven, alla fine della vostra storia di norvegesi in Groenlandia. Qual è stata la causa della vostra estinzione?

“Dipende, diciamo che eravamo messi male in tutti i casi”.

Iniziamo dalla vostra società, può descriverla?

“Va bene, sinceramente siamo sempre stati un po’ testardi, ogni tribù pensava solo a sé stessa, e non eravamo molto bravi a comunicare. Quando arrivava il momento di pagare i beni preziosi derivanti dall’Europa, litigavamo su chi dovesse saldare il conto. A tutti piacevano le ricchezze, per sembrare potenti, ma quando si trattava di pagarle, i proprietari delle fattorie sfruttavano il lavoro di contadini e poveri”.

Ghiacciaio, Prins Christians Sund (Groenlandia).

E invece sull’ambiente cos’hai da raccontarmi? Qui sento freddo… si gela!

“L’ambiente era ed è tuttora molto freddo, qui è impossibile allevare gli animali erbivori ed è anche poco realizzabile coltivare le piante alimentari più importanti. Tempo fa avevamo anche provato ad andare a sud, a Vinlandia – una terra ricca di boschi e animali – ma con scarsi risultati, per colpa di quei luridi, sporchi, skraeling, che hanno attaccato le nostre navi. Eravamo malnutriti, abituati a mangiare mucche…”.

Mucche?!

“Esattamente, come facevano gli altri nostri compatrioti in Norvegia o in Francia, poi ci siamo accorti che consumavano tanto fieno, che però non cresceva con facilità, quindi alla fine ci siamo arrangiati con le capre, che brucano molto meno. Ma non solo con le capre, anche con le pecore, che ci davano della lana per coprirci almeno un po’”.

Va bene, ho capito… com’era l’economia?

Rovine della Chiesa di Hvalsey, Groenlandia.

“Come ho già detto, avevamo poco cibo, e tutte le altre famiglie invece decisero di continuare il commercio dei beni preziosi, che poi erano solo superflui. Pensi che il vescovo si faceva comprare dei vestiti di porpora che alla fine non gli servivano, perché usciva con tre pellicce! La nostra economia poi era spazialmente integrata, mi ricordo bene quando arrivava la nave da Bergen ed eravamo tutti lì sulla banchina del porto ad aspettarla con entusiasmo. Agitavamo le braccia e urlavamo a squarciagola, sono bei ricordi, se non contiamo il fatto che centinaia di persone erano ammassate su un piccolo ponticello, non stavamo esattamente comodi”.

Ma la cultura europea era più… “evoluta” rispetto a quella degli Inuit o dei Pellerossa? La vostra cultura non vi ha aiutato?

“Ma chi?! Quei pezzenti insignificanti degli skraeling? Ma da quando hanno un nome?! Anche una foca ha la mentalità più aperta di loro. Noi eravamo semplicemente molto tradizionalisti, e non volevamo cambiare, forse è questo che ci ha portati alla rovina. Ma è stata anche colpa loro… in qualche modo… Se si fossero impegnati a relazionarsi di più con noi, forse le cose sarebbero andate diversamente”.

E che mi dici della politica? Come era governata la vostra comunità?

Anse aux Meadows (Canada), long-house, ricostruzione.

“Avevamo tanti capi famiglia, che erano sempre in litigio fra loro. Come dimenticare poi quando Gunnarson ruppe ben due denti al povero Erickson… almeno il ghiaccio non gli mancava. La nostra politica era chiusa tanto quanto la cultura, una volta successe che ad un prigioniero, uno skraeling, o come lo chiami tu, Inu-qualcosa, gli facemmo mangiare tre chili di grasso di balena, da un certo punto mi fece pena… si… ma letteralmente alla grandezza di un punto!”.

Facevamo le assemblee nella long-house e si litigava spesso, i capi famiglia volevano sempre prendere le decisioni per conto loro, senza neanche ascoltare il parere degli altri, questo era anche il motivo per il quale eravamo divisi in tribù… Quando arrivava il momento di collaborare non c’era una tribù che la pensasse uguale ad un’altra, non si riusciva neanche ad arrivare ad un punto comune…

Quindi mi stai dicendo che andava tutto a sfacelo? Dunque l’estinzione era inevitabile?

“Guardi… In un ambiente così ostile, siamo comunque riusciti a resistere quasi cinque secoli, quindi direi che dopotutto non è andata così male… Ora che sono solo, non ho più tante speranze di sopravvivere”.

Intervistare quest’uomo mi ha messo tristezza, e anche un po’ paura, se penso che questo potrebbe accadere anche a noi, a tutta la specie umana. Devo comunque confessarvi che, a microfono spento, Sven mi ha confidato che ha pensato tante volte di unirsi all’accampamento degli Inuit e forse, dopo la nostra chiacchierata, lo farà.

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CAROLINA e NOUR, 2019

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la foto di copertina: Chiesa di Thjodhild, Brattahlid (Groenlandia). Ricostruzione.

il materiale del gioco-laboratorio in: Elena Musci, Le colonizzazioni vichinghe, in Antonio Brusa, L’atlante delle storie. La sintassi della storia, vol. 2, Palumbo Editore, Palermo 2010.

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