Sabato 30 settembre 2023 si è svolto il BFEST, un festival organizzato da alcuni ambientalisti e dal Comune di Reggio Emilia, con la partecipazione di aziende agricole, di associazioni e di altre persone che hanno deciso di fare volontariato pulendo il parco Santa Maria, vicino alla stazione centrale. I banchetti offrivano servizi diversi: libri, fiori, giocattoli di legno riciclato, cibi, bevande e dolci, bigiotteria, inoltre erano presenti un orticoltore, che spiegava i segreti di un orto biologico, e l’associazione Tutti in bici.
Gli organizzatori hanno deciso di invitare delle classi di alcune scuole, per permettere ai ragazzi di conoscere la biodiversità, grazie all’aiuto di Francesco Cecchetti, un architetto del paesaggio, che ci ha fatto svolgere un’attività per sperimentare la psicogeografia, un metodo conosciuto, ma non molto utilizzato.
In questa giornata abbiamo discusso dell’importanza di essere liberi e di poter esprimere la propria opinione, su quello che si pensa, su alcuni argomenti di interesse globale. Questo progetto ci ha permesso di “vagare” tra gli argomenti, di mettere in relazione le diverse discipline, senza schematizzare troppo, come di solito succede.
Una delle classi che è stata invitata al festival (la 3C dell’IC Leonardo da Vinci) ha creato dei cartelloni, che rappresentano il tema della biodiversità e la questione della sostenibilità ambientale, tramite un percorso svolto durante i tre anni di scuola media, infatti questo tema si può collegare a molte materie come geografia, scienze, storia, tecnologia e italiano.
Ed ecco la lezione aperta di Francesco Cecchetti:
[Francesco] Sono molto interessanti i vostri disegni perché mostrano in qualche modo un problema doppio. Certo, ce ne sono migliaia, ovviamente: lo scioglimento dei ghiacciai, il plancton, le rane che stanno scomparendo, tutti questi sono problemi enormi, però ci sono due problemi grandi nella nostra vita quotidiana.
ll primo problema è che noi ci troviamo soli contro una cosa gigantesca. Se fosse successo cinquemila anni fa avrebbero scritto poemi, storie epiche come la storia dell’arca di Noè. Può essere che sia legata a un evento che è avvenuto, cioè un’inondazione e poi però si è creata una storia epica, voi l’epica l’avete studiata, quindi sapete di cosa sto parlando. Le persone raccontano un evento per poter trovare un senso, una motivazione, insomma noi viviamo di storie. Infatti ho sentito delle storie, ad esempio la storia della ragazza sull’albero. E’ rimasta impressa perché è una storia epica: lei da sola contro la multinazionale. Ci piacciono i film in cui c’è uno contro il mondo intero. La verità è che queste cose funzionano poco, molto spesso le cose funzionano quando ad agire sono dei gruppi. Quindi il primo problema è che ci sentiamo soli contro il mondo che sta bruciando.
L’altro problema è che siamo soli. Si sente dire: l’unico modo per salvare il pianeta è non usare il telefono, usare meno cose, consumare meno energia. E quindi noi singolarmente come persone abbiamo addosso una responsabilità enorme. Vi dico un’altra cosa: questo tipo di lavori che fate voi lo facevo anch’io quando avevo l’età vostra. Io ho finito le medie nel 2005 e già allora si facevano questi lavori. Anche persone più grandi di me le facevano. Perché non è vero che le persone non danno attenzione a questi problemi. Si è data tanta attenzione ma oggi vediamo che le cose comunque continuano a scivolare via. Quindi vorrei fare un lavoro con voi oggi che dipende solo da voi e dipende da quanto a voi va di farlo. Perché quello che può cambiare la situazione non è tanto la quantità di cose che si fanno (quanti vestiti compri meno, quanti oggetti compri meno, quanto mi sposto in macchina, quanta carne mangio). E’ chiaro che le quantità sono importanti, ma prima di arrivare a quello bisogna arrivare al perché lo faccio.
Facciamo un esempio: parliamo di un gruppo classe come voi. Se voi siete un gruppo unito, affiatato, non c’è bisogno di trovare un motivo per fare qualcosa per gli altri. Cioè se io mi trovo bene con un gruppo di amici, se c’è qualcosa da fare lo faccio perché sto bene con questi amici, perché c’è una relazione. Se invece io mi trovo male nel mio gruppo classe, se sono sconsolato, se siamo tutti un po’ a disagio, dovrò avere dei motivi per fare qualcosa per gli altri. Se mi stanno tutti antipatici, se mi fanno sentire solo, se sento che non c’è niente in comune, non farò nulla per loro. Questo è molto importante per la lotta ambientale, perché non c’è progresso, non c’è crescita, non c’è salvaguardia dell’ambiente, se non c’è una comunità per cui salvarlo.
C’è una soluzione definitiva per i problemi ambientali? Sì. La specie umana sparisce. Otto miliardi di persone muoiono tutte allo stesso momento. Ci sono libri che spiegano cosa succederebbe se sparissimo tutti insieme. Nel giro di poche settimane esploderebbero tutte le centrali nucleari, perché non c’è più manutenzione, poi tutti i motori a carbone, ecc… Ci sarebbero vari problemi e poi, nel giro di cinquecento anni, ci sarebbe una nuova esplosione di biodiversità. A posto, una soluzione ce l’abbiamo, ma non è quella che noi preferiamo. Quando si parla di salvare l’ambiente si parla di consumare meno, fare meno, fare sacrifici, ma il sacrificio non può essere la soluzione che una persona sceglie di sua spontanea volontà se non c’è un motivo per farlo. Deve esserci qualcosa da salvare, c’è il mio rapporto con la biodiversità da salvare. Quando si parla di altre culture, di popoli antichi, dei giapponesi o dei popoli che vivono nella foresta pluviale, si dice che loro rispettano la natura. Ma non la rispettano solo da un punto di vista dell’utilità, la rispettano perché hanno un rapporto con questa cosa.
Io ho un podcast che si chiama “Giardino rivelato” e – con la scusa del giardino – parlo un po’ di tutto: piante, animali, paesaggio, economia. Parlo di cose che si possono vedere nel corso della della propria vita e della propria giornata, anche perché penso che un giardino possa fare bene a tutti, che sia privato o pubblico. Questo dove siamo ora è un bellissimo giardino, sarei contento se in Italia i bambini piccoli che vivono in città potessero giocare con le foglie sotto gli alberi. Noi in Italia abbiamo il terrore di sporcarsi di terra. “Oddio! Mio figlio si è sporcato e adesso lo devo lavare!”. Tanto lo devi lavare lo stesso! Se ci si macchia d’erba, almeno che sia per un buon motivo. L’altro giorno dicevo che avrei molta voglia di giocare a nascondino, ma non trovo persone con cui giocare. Quando ero piccolo giocavo a nascondino. C’è un parco esteso quasi mezzo chilometro quadrato dove vivo, e noi giocavamo a nascondino su tutto il territorio, praticamente 50 campi da calcio. Era un terreno in collina, con le rovine e i fossi e avevamo creato delle regole un po’ più complesse. Il punto è che se hai modo di passare il tempo in giardino o nel parco, a giocare a nascondino in un posto che ti piace, crei un legame con quel posto.
Il primo modo per arrivare un giorno a convincerci di fare qualcosa per salvare quello che c’è o per migliorarlo è creare un legame, un rapporto. E questo rapporto è sempre personale, soggettivo. E qui arriviamo a quello che vorrei fare con voi oggi e sono contento che abbiate carta e penna. Facciamo un “gioco di poesia”, che non significa che dovete scrivere dei versi. Poesia vuol dire creazione, in greco, quindi il poeta è una persona che crea. La poesia che vorrei faceste è un gioco che è nato qualche decennio fa, si chiama psicogeografia, ed è la geografia dell’anima interiore. La mia idea è questa: fate per dieci minuti un giro per il parco e man mano che andate in giro disegnate il vostro percorso. Può essere una mappa precisa o una linea con degli scarabocchi. Scegliete cinque punti in cui fermarvi e ogni volta che vi fermate annotate quello che vi rimane impresso di quel posto. Può essere un albero o un filo d’erba, oppure può essere come vi sentite. Provate a creare una connessione con il posto in cui vi fermate e il percorso che fate. Non importa che sia un bel disegno o che sia un disegno preciso, deve essere la vostra occasione per creare una connessione con questo luogo e se voi ci riuscite avrete uno strumento per creare una connessione con ogni luogo.
Io sono un architetto del paesaggio, il mio lavoro è studiare il paesaggio e il paesaggio è un luogo in cui si vive. Il paesaggio viene pensato. Quando voi vedete, per esempio, delle colline bellissime con un unico albero in cima, sappiate che è tutto artificiale. Tutta l’Italia, tutta l’Europa è artificiale, anche i bellissimi boschi di castagno. Il castagno non fa boschi in Europa, li fa in Anatolia [Turchia] ma non qui. l’Italia sarebbe una foresta di querce. Anche la foresta amazzonica è stata cambiata dalle persone che ci vivono. Le mele non esistono in natura, le hanno create gli orsi golosi che hanno ibridato delle piante, hanno selezionato quelle che gli piacevano di più e sono nate le mele per come le conosciamo noi. C’è tanta biodiversità in Italia per via delle praterie mediterranee, ma le praterie mediterranee se gli esseri umani non avessero abbattuto gli alberi non ci sarebbero state. Vuol dire che a volte noi possiamo anche distruggere, ma quella distruzione può portare qualcosa di buono, di non completamente negativo. Per arrivare a trovare un senso a queste cose che facciamo dobbiamo creare questa connessione quindi io vi chiedo adesso di fare un giro per il parco. Ma non fate foto, perché le foto ingannano. Ci fanno pensare di ricordare quello che abbiamo visto.
[un quarto d’ora dopo] Tutti più o meno siete riusciti a fare qualcosa? Chi di voi ha avuto difficoltà? Chi di voi preferisce non esprimersi? Vi vedo più silenziosi, che è successo? Cosa avete scoperto? Quali forze della natura avete incontrato che vi hanno turbato? Rispondetemi singolarmente, siete riusciti a fare una mappa, una rappresentazione, un disegno che vi soddisfa? Voi vivete tutti a Reggio o qui vicino. Voi sapete che c’è questo parco, con gli alberi e l’erba, però potete archiviare mentalmente e emotivamente, insieme all’immagine del parco, anche ciò che avete sperimentato adesso. E le prossime volte che tornate potete aggiungere altri elementi, e questo lo potete fare per tutta la città, per tutti i parchi, per casa vostra come per i boschi, i fiumi e i singoli alberi.
[Prof Cecalupo] E’ un po’ come nelle mappe di comunità: si chiamano tutte le persone che vivono in un territorio per costruire una mappa del comune. Però in questa mappa non si fa una cartografia precisa, ma ognuno mette un’emozione, un ricordo, un cibo, qualcosa di soggettivo, e viene fuori quindi una mappa che non è fatta solo di linee e simboli geografici, ma è fatta di storie di vita.
[Francesco] Ora faccio una piccola deviazione per parlare di un argomento un po’ complesso, non che sia complesso per voi, ma è complesso per il tempo che abbiamo a disposizione. Ci sono due studiosi del paesaggio che si chiamano Anuradha Mathur e Dilip da Cunha, sono indiani. Loro hanno studiato molti fiumi e il rapporto della geografia con i fiumi. La geografia, per come la studiamo noi, deriva dalla conquista del territorio, cioè la cartografia, la mappatura dei territori, nasce per dire: “ok, io vado qui, qui c’è il fiume e lo passo”. Facciamo l’esempio di Mumbai, in India. E’ una città di 22 milioni di abitanti che è nata su una piccola isola separata dalla terraferma. Col tempo, costruendo, praticamente l’isola è sparita. Hanno costruito sul mare. I primi esploratori, quando hanno cominciato a mappare Mumbai, hanno misurato la linea di costa quando la marea era bassa e quindi con più terra. Sulla mappa hanno deciso che la spiaggia finiva a 500 metri dentro il mare, e dopo duecento anni la terraferma è arrivata lì dove c’era il mare.
La geografia non l’abbiamo sempre usata per conquistare, per dominare la natura. Alessandro Magno, durante le sue campagne militari, incontrò un fiume che gli impediva di passare e, anziché fare un ponte, decise di distruggere il fiume. Per loro i fiumi erano delle divinità, dunque Alessandro affermava così di essere più forte di un Dio. Trasformò questo fiume creando centinaia di canali e fece in modo che questo fiume si disperdesse e non esistesse più. Questo è un rapporto di conquista con il territorio. Invece si può usare la geografia – come ha detto il vostro professore, e come avete fatto voi adesso – per raccontare i luoghi. Potreste provare a fare una mappa di comunità, per raccontare ai professori di questo luogo. Potete anche provare a fare una mappa della scuola.
E’ importante fare queste cose e fare attenzione a un altro rischio: quando mi avete mostrato i vostri lavori e mi avete raccontato del mondo, avete detto che per salvare il mondo globale bisogna cambiare il locale. Giusto, bisogna cambiare da global a local. Ci sono molte persone che tentano di fermare la rivoluzione dei trasporti: sono contro il trasporto pubblico e contro le biciclette. Ma le macchine non devono sparire, devono solo diventare uno dei tanti mezzi di trasporto. Prendiamo per esempio la questione delle dighe e degli argini dei fiumi. Qui in Emilia-Romagna avete vissuto che cosa significa avere un territorio che è usato solo per la produzione e non per viverci. Perché se ci sono meno alberi l’acqua fa quello che vuole. Molti quindi dicono: bisogna prima pensare al locale. Invece bisogna fare una cosa molto più difficile e provare a guardare le due cose insieme. Quando voi guardate un filo d’erba cominciate a a domandarvi se questo filo d’erba è una pianta o è parte di una pianta. Cominciate a pensare, ogni volta che vedete una cosa singola come il filo d’erba, come questa si collega al resto del mondo. Prima si collega al resto del prato, poi al resto del quartiere, poi al resto del mondo.
E’ importante che voi impariate a raccontare le cose che vedete, in qualunque modo decidiate di raccontarlo. Con foto, video, audio, testi scritti, quadri, sculture, canzoni, filastrocche per bambini. Anche se non sarà il vostro lavoro, perché le poesie non le scrivono solo coloro che sono poeti di mestiere. Per chiudere, provate a leggere le cose che vedete come una storia. Io adesso sto leggendo l’Odissea in prosa – nella traduzione a cura di Maria Grazia Ciani, che è bellissima – che vi consiglio proprio come libro da leggere, anche al di fuori della scuola. E’ stupenda, leggetela e provate a vedere se si collega alle cose che vedete intorno a voi, e poi provate a raccontarle.
Speriamo che giornate come questa si possano realizzare anche in futuro, magari per valorizzare anche altri luoghi della città.
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L’articolo è a cura di GIULIA, MARTINA, GINEVRA, VITTORIO e GABRIELE (2023)
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L’uscita al Parco Santa Maria (Reggio Emilia, 30 settembre 2023) è stata curata dalle prof Adriana Sorrentino (3C) e Giacomina Caputo (3A). Foto: Giulia e Marco, settembre 2023.