La ragazza della luce (De Tunnel)

E’ passato un po’ di tempo dall’edizione 2023 del festival di Internazionale Kids a Reggio Emilia, ma qui nel blog non eravamo ancora riusciti a mettere insieme tutti i pezzi di quelle intense giornate. Ora ci siamo, e dopo l’intervista a Davide Morosinotto, pubblichiamo il booktrailer del libro “La ragazza della luce” e l’intervista che abbiamo fatto il 13 maggio 2023 alla scrittrice olandese Anna Woltz durante il festival.

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“La ragazza della luce” è ambientato a Londra durante la seconda guerra mondiale. Parla di un gruppo formato da quattro ragazzi che cercheranno di vivere le loro vite in modo relativamente normale, quindi facendosi amici, innamorandosi e vivendo varie esperienze, ovviamente all’interno di un contesto così devastante e brutale come la guerra.

Il racconto verrà narrato dal punto di vista di una componente di questo gruppo: una ragazza di nome Ella, che soffre di poliomielite, una malattia che colpisce i muscoli, in questo caso la sua gamba. Ella parlerà della sua esperienza e descriverà in modo molto accurato la vita all’interno dei tunnel (da qui il titolo originale “De Tunnel”), ovvero le stazioni della metropolitana che furono utilizzate come rifugi antiaerei per difendersi dal bombardamento tedesco.

Stazione della metropolitana di Londra, 1940. Imperial War Museum (Public Domain).

D. Qual è il significato legato al titolo? La traduzione del titolo in italiano, “La ragazza della luce”, è l’esatto opposto rispetto a quello originale: “De Tunnel”. Cosa pensi di questa traduzione? Il tunnel è una metafora per la speranza (dal tunnel si esce e si vede la luce) o per l’ansia dei brutti periodi della vita?

Anna Woltz: È una domanda che in realtà andrebbe fatta al mio editore italiano, perché non ho ben capito quale sia il motivo di questo titolo. Penso che l’editore abbia fatto questo ragionamento: che ci fosse tantissima oscurità, che fosse un libro molto “ombroso” a causa dei tunnel, e quindi volessero aggiungere un po’ di luce, e l’hanno fatto mettendo la parola luce nel titolo. Però, per quanto mi rigurada, questa storia si concentra su quattro giovani ragazzi che trovano rigufio sottoterra, quindi l’oscurità in questo caso è importante, e non è una cosa negativa. Se ci pensate, si riesce ad avere conversazioni anche quando non si vede direttamente la persona con cui si parla, ad esempio mentre stiamo facendo una passeggiata o mentre stiamo lavando i piatti, e anche quando siamo al buio. Anzi, è molto più facile avere una conversazione al buio, quando non si vede l’altra persona, perché è più facile aprirci alle altre persone. Il buio, per questi adolescenti nel tunnel, è qualcosa di positivo.

D. Perché hai scelto come protagonista una ragazza con la poliomielite?

Anna Woltz: Come autrice, lavoro sempre come se fossi davanti a un puzzle, dove devo reinventare e posizionare tutti i pezzi al posto giusto. Questa idea del tunnel in realtà è partita come un mio sogno, non avevo intenzione inizialmente di scrivere un libro ambientato durante la seconda guerra mondiale, avevo sognato questo grupo di giovani ragazzi che trovava rifugio nell’oscurità, in un posto senza luce e all’interno di questo posto riuscivano ad avere tantissime conversazioni piene di significato [come accade nel libro “Alaska”, ndr]. Volevo assolutamente fare parte di questo gruppo di ragazzi ma non sapevo assolutamente cosa potesse accadere al di fuori di questo luogo. Solo molto più tardi ho deciso di ambientarlo durante il periodo della seconda guerra mondiale.

Se ci pensate, mettere insieme la guerra e degli adolescenti può sembrare strano, anche perché la seconda guerra mondiale è una guerra che è stata iniziata e combattuta dagli adulti. Nel libro c’è un ragazzino di sedici anni che non ha avuto il permesso di adare a combattere, perché è troppo giovane; c’è una ragazzina quindicenne che vuole diventare un’infermiera di guerra, ma non le viene dato il permesso. I personaggi provano questa sensazione, come se questa guerra non fosse la loro guerra. Avevo bisogno di trovare qualcosa che li toccasse direttamente nei loro sentimenti, a livello individuale, ed è per questo che ho fatto in modo che Ella avesse la poliomielite.

Oggi non è una malattia molto conosciuta, anche perché negli anni ’50 è stato finalmente scoperto un vaccino. Ma prima di allora, in ogni villaggio, in ogni paese, in ogni classe a scuola c’era almeno un bambino che aveva la poliomielite, che era rimasto paralizzato, con un braccio o una gamba che non funzionavano più al 100%. Quindi nel 1940 era una malattia davvero spaventosa. Ella rimane duramente colpita dalla poliomielite. Deve trascorrere un anno in solitudine, cercando di guarire in un polmone d’acciaio, e improvvisamente si rtitrova a dover andare sottoterra a trovare rifugio dalle bombe. E passare tutto questo tempo dentro i tunnel della metro. E deve dormire circondata da centinaia di sconosciuti. Per lei questo era ancor più spaventoso, proprio perché è stata tanto tempo da sola. Però allo stesso tempo tutto questo rende l’intera esperienza ancora più speciale.

D. Perché hai scelto una ragazza come protagonista? Forse perché, dato che anche tu sei una donna, è più semplice esprimersi nei suoi panni?

Anna Woltz: Sì, sicuramente perché è più semplice per me. Però non tutti i miei libri sono stati scritti dal punto di vista di un personaggio femminile. Oggi c’è un dibattito sul fatto che un autore possa essere in grado di scrivere da una prospettiva al di fuori della sua esperienza personale. Io penso di poter scrivere anche dal punto di vista di un ragazzo o di un bambino. Certamente la prospettiva femminile mi risulta più semplice da approcciare, però ho un bambino di cinque anni, e già vedo che ora mi è molto più semplice scrivere con una prospettiva maschile, perché vivo con lui ogni singolo giorno e vedo come reagisce alle cose. Infatti ho scritto un libro per bambini di circa sette anni in cui il punto di vista è quello di un maschietto.

D. Il modo di vedere la scrittura del “quaderno” da parte di Ella cambia durante il corso del libro: inizialmente è una fuga dalla realtà per poi evolversi in una forma di testimonianza, un modo per farsi ascoltare. Cosa ne pensi? L’aver scelto come passione della protagonista la scrittura è un modo per incoraggiare i lettori a scrivere?

Anna Woltz: Quando scrivo i miei libri, non penso tantissimo a quelli che saranno i miei futuri lettori, ma mi concentro più che altro sulla storia, sui miei personaggi, e su cosa necessitino i miei personaggi. Ella aveva un assoluto bisogno di scrivere, perché ha passato tanto tempo a casa da sola, quindi scriveva come per una sorta di fuga dalla realtà. Era un modo per andare oltre, per uscire, finché a un certo punto non ne può più di continuare a scappare, decide di smettere di scappare. Allora esce nella notte e strappa il suo quadernino, le pagine volano via nel vento un po’ come le fantasie che aveva scritto all’interno di quel quadernino.

Esiste però un altro modo di scrivere, non solo scrivere fantasie per evadere dalla realtà, ma anche scrivere e nararre la realtà stessa, come una sorta di testimonianza. Ella ha cominciato a stringere nuove amicizie, ha cominciato a vivere di nuovo, e allora decide di scrivere per raccontare questa vita e questa realtà che adesso poteva vivere.

Una giovane donna suona un grammofono in un rifugio antiaereo nel nord di Londra nel 1940. Imperial War Museum (Public Domain).

D. Nel libro vengono cantate due canzoni famose: “Somewhere over the rainbow” di Judy Garland e “We’ll meet again” di Vera Lynn. Perché hai scelto proprio queste due canzoni?

Anna Woltz: Il libro è ambientato nel 1940, quindi ho dovuto fare tantissime ricerche. Perché sì, ho inventato i miei personaggi, ma tutto il resto è basato sulla realtà e sulle ricerche che ho fatto. La cosa più complicata era capire bene le tempistiche. Ad esempio, a un certo punto lo zoo di Londra è stato bombardato. C’erano tutte queste scimmie che correvano e scappavano di qua e di là per le vie di Londra. È realmente accaduto. Sono tutti dettagli reali.

Quindi ho deciso che volevo anche utilizzare delle canzoni vere, canzoni esistenti. Allora ho cominciato a fare delle ricerche e ho trovato una canzone “di guerra”, che veniva cantata dai soldati mentre andavano a combattere. E l’altra canzone era “Somewhere over the Rainbow”, che veniva dal film “Il mago di Oz”. Per me c’era qualcosa di davvero speciale nel fatto che la protagonista fosse andata a vedere quel film prima dello scoppio della guerra, con la sua mamma. E il fatto che tutte queste persone avessero visto prima della guerra un film che noi tuttora possiamo vedere.

Bambini dopo il bombardamento della propria abitazione, East London, settembre 1940. Wikimedia Commons (Public Domain).

D. Nello scrivere la trama del libro, ti sei ispirata a storie che hai sentito oppure è tutto frutto della tua immaginazione?

Anna Woltz: Diciamo che sono stata estremamente ispirata dalle ricerche che ho fatto. Una volta deciso che volevo ambientare il mio libro a Londra nel 1940, durante il periodo del Blitz, quegli otto mesi in cui Londra è stata bombardata ogni singola notte, è tutto stato basato sulle tantissime cose che ho letto. Ed era tutta una questione di tanti piccoli dettagli che saltavano alla mente. Ad esempio il fatto che le persone andassero a rifugiarsi all’interno della metropolitana. Però alcuni dovevano lavorare tutto il giorno e arrivavano tardi, e così non c’era alcuno spazio dove potessero sdraiarsi. Quindi ho letto che c’era un gruppo di ragazzi che ha deciso di “tenere il posto” per questi ritardatari, però questo posto loro lo vendevano. E mi è sembrata una cosa estremamente crudele il fatto che delle persone dovessero pagare per ottenere quel posto. Il mio secondo pensiero è stato: Benissimo! Posso usarlo tranquillamente. Posso far sì che uno dei miei protagonisti venda i posti all’interno della metro. Sì, è stata la ricerca che ho fatto che ha ispirato il tutto.

Ho usato anche tantissime foto trovate all’interno della mia ricerca. Se ci pensate, oggi noi scattiamo sempre delle foto, in qualsiasi momento, usando il nostro telefono. Al tempo però, nel 1940, c’erano dei veri e propri “fotografi di guerra” che catturavano i vari momenti che venivano vissuti.

In questa foto che vedete dietro di me potete vedere le persone che dormivano sulla pensilina della metropolitana.

Qui invece potete vedere un’immagine della stazione di Piccadilly Circus. Le persone dormivano addirittura sulle scale mobili, perché le metro erano talmente tanto affollate che non c’era posto, quindi di notte le scale mobili si fermavano e le persone si mettevano a dormire lì. Provate a immaginare: dormire per otto mesi su una scala mobile.

Le scale mobili di una stazione della metropolitana, Londra 1940. Imperial War Museum (Public Domain).

Qui invece vedete alcune amache che sono state stese fra i binari della metro. Non so quanto questa immagine sia stata realizzata “ad hoc”, fatta apposta. Infatti le foto erano anche uno strumento di propaganda durante la guerra. Però sicuramente c’erano moltissimi bambini che si rifugiavano durante la notte a dormire all’interno della metro.

Questa è l’ultima immagine che voglio mostrarvi, che mostra delle persone che dormivano all’interno di un tunnel ancora in costruzione.

D. Cosa ti ha spinto a fare la scrittrice? In particolare, quale messaggio vuoi trasmettere con questo libro?

Anna Woltz: Adoro assolutamente le storie, e adoro anche le persone. Penso che siano estremamente interessanti. È interessante il modo in cui si comportano, oppure perché provino determinati sentimenti e sensazioni. E come scrittrice ho la possibilità di esplorare tutto questo, ogni singolo giorno. Inoltre, amo profondamente le lingue, il linguaggio. E ho la possibilità di sedermi alla scrivania, pensare alle persone, inventare delle storie su queste persone e trovare dei modi diversi per raccontare queste storie. Quindi riesco a combinare tutti questi elementi che amo.

Non voglio trasmettere con questo libro un messaggio specifico, più che altro in maniera più generale voglio dire: provate a essere più pazienti, a comprendere che cosa spinga le persone a comportarsi in un determinato modo. Alcuni dei personaggi della mia storia all’inizio sono un po’ “cattivi”, si comportano male, e inizialmente non riusciamo a capire perché si comportino così. Poi però cominciamo a comprenderlo, man mano che il libro va avanti e loro ci raccontano le loro vite. Quindi quello che voglio trasmettervi è: cercate veramente di ascoltare e comprendere perché le persone si comportino in un certo modo.

D. Il libro presenta all’inizio un quartetto di protagonisti: noi lettori non siamo propriamente d’accordo su chi sia il quarto personaggio. Per generazione sarebbe Sebastian, per la prossimità con la protagonista sarebbe Robbie. Chi è fra i due?

Anna Woltz: Hai assolutamente ragione. Nessuno lo sa chi sia, questo quarto personaggio. Se questo libro fosse stato scritto da un’altra persona, da lettrice mi avrebbe dato abbastanza fastidio. Della serie: “Insomma, deciditi! Chi sono questi quattro personaggi che hai menzionato all’interno del primo capitolo?”. Però, come autrice in realtà la cosa non mi interessa, non importa chi sia.

Conclusione da parte della conduttrice: Leggete questo libro, perché ci sono autori per ragazzi – di cui non farò il nome neanche sotto tortura – che scrivono per mestiere, che scrivono tanti libri che funzionano, ma che sono scritti per mestiere. Poi ci sono autori che scrivono, dal profondo di sé stessi, quello che vogliono dire al mondo. Anna è una di questi autori e autrici. Questo libro è denso di significati per tutte le età. Ci sono personaggi complessi, hanno pensieri complessi. Trovo che il mondo sia molto pieno di superficialità, e che se invece riuscite a immergervi in questa storia avrete tante cose da raccontarvi tra di voi quando avrete finito di leggerla. Un libro è un modo di connettersi con gli altri e di capirsi meglio attraverso una storia, quindi ve lo consiglio con tutto il cuore. Sono molto contenta di aver conosciuto Anna. Grazie di aver partecipato così in tanti e buon festival.

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In copertina: rifugio antiaereo nella stazione della metropolitana di Liverpool Street a Londra (Regno Unito), 12 novembre 1940, foto di Bill Brandt, Imperial War Museum (Public Domain); nell’articolo: festival di Internazionale Kids, Chiostri di San Pietro, Reggio Emilia, 12 e 13 maggio 2023 (foto di Ashar e Marco). Alcune copie del libro autografate dall’autrice sono presenti nel bookcrossing!

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