Cappuccetto Rosso come non l’avete mai ascoltata. Intervista sulla fiaba a Luca Melegari (Biblioteca Ospizio)

E se Cappuccetto Rosso non avesse avuto affatto un cappuccio rosso? Una mattina di novembre, Diego, Kine e Barbara, alunni della 2D a.s. 2018/2019, hanno intervistato a scuola Luca Melegari, della Biblioteca Ospizio di Reggio Emilia, sul tema della fiaba. E hanno scoperto aspetti interessantissimi su questo “super genere”, che una volta non era destinato solo ai bambini. Nell’intervista, Luca racconta la lunga storia dei “cunti”, le fiabe che uomini e donne si raccontano da quando hanno cominciato a parlare.

Luca: Voi avete studiato la fiaba come genere letterario, e ogni genere ha delle regole e delle strutture. Avete studiato, per esempio, le funzioni di Propp. Io invece parlo della fiaba in un altro modo, nel senso che prima di diventare genere era qualcos’altro, anzi era molto di più.

Possiamo dire che oggi la fiaba è un genere: ha delle pubblicazioni, degli scrittori che pubblicano dei libri, normalmente indirizzati ad un pubblico di bambini e ragazzi. Però in realtà la fiaba è molto di più, per cui non ne parlo dal punto di vista del genere letterario, ma da un punto di vista storico e folkloristico.

Come sono cambiate le fiabe nel tempo?

Luca: Le fiabe sono cambiate moltissimo, sono cambiate e cambiano tuttora. Ma ciò che è fondamentale è il passaggio dalla fiaba come narrazione popolare – una storia che veniva raccontata tra persone, da un narratore che poteva essere uno del gruppo degli ascoltatori o un cantastorie – all’utilizzo delle fiabe come storie pubblicate, lette e vendute.

Nel momento in cui la fiaba passa da narrazione popolare a storia scritta, c’è una persona che decide che cosa scrivere e come scriverlo. Noi non sappiamo esattamente come venivano raccontate le fiabe nel passato, nei secoli antecedenti al 1700, ma sappiamo cosa è stato trascritto. A seconda di chi trascriveva le fiabe, del contesto in cui egli viveva e della sua ideologia (e con ideologia intendo la forma mentis, cioè come egli vedeva il mondo, come pensava che dovesse essere il mondo e come le persone dovessero comportarsi), la fiaba cambia. Facciamo un esempio. Vi ricordate chi sono i primi scrittori di fiabe, coloro che per primi raccolgono le fiabe?

Geronimo Stilton… Roberto Piumini?

Luca: Si, loro hanno scritto anche delle fiabe, ma sono scrittori attuali, ancora viventi. Il primo scrittore che si conosce, ma per la verità non sappiamo nemmeno se sia veramente esistito, è quello che ha scritto le favole, Esopo, che si pensa fosse uno schiavo greco, ma non lo sappiamo con precisione. Voi forse a scuola avete fatto una distinzione tra fiaba e favola: la fiaba ha delle componenti magiche e la favola ha degli animali antropormofizzati (come in La volpe e l’uva). Il primo che comincia a raccogliere e trascrivere le fiabe, invece, è Charles Perrault. Egli ha vissuto verso la fine del 1600. Ha sentito le fiabe, perché è l’epoca in cui le fiabe vengono raccontate continuamente, e le raccoglie e trascrive, dal suo punto di vista.

Un secolo e mezzo dopo di lui, all’inizio del 1800, sono i fratelli Grimm che raccolgono fiabe. In quel tempo l’ideologia è tutta diversa, e l’idea di base della fiaba è diversa. Le fiabe cambiano continuamente, perché sono una narrazione popolare e mentre si raccontano cambiano a seconda di chi ascolta, di chi racconta e di chi scrive. Una stessa fiaba cambia nel tempo, per esempio Cenerentola o Cappuccetto Rosso – di cui parleremo dopo – che è quella più studiata e di cui possiamo parlare meglio. Le versioni popolari che abbiamo della fine del 1600, quelle del 1700, quella trascritta dai Grimm e quelle successive sono fortemente diverse, hanno una natura diversa.

Che scopo hanno le fiabe?

Luca: La risposta è legata alla risposta precedente. Le fiabe hanno la finalità di chi le scrive e di chi le racconta. Chi racconta fiabe a livello popolare, folklorico, è qualcuno che sta parlando di esperienze che tutti vivono, le trasporta nelle fiabe e probabilmente nelle fiabe mette i sogni, le speranze. Ci mette un ribaltamento della realtà, che è quello che tutti vorrebbero. Faccio un esempio, Cenerentola è il più semplice, perché è la fiaba più raccontata nella storia. La protagonista è l’ultima, la ragazza più maltrattata della famiglia, è la sguattera, lavora e nient’altro. Ma alla fine in questa storia lei diventerà una principessa. Dovete pensare a questa fiaba raccontata a persone, a ragazze, che passano la loro vita a lavorare. Per cui il ribaltamento dei ruoli, una trasformazione della propria condizione sociale, era un sogno che tutti avevano.

Una delle cose che vediamo, nelle fiabe popolari del 1700 che siamo riusciti a raccogliere, è che il grande sogno è mangiare. Quando a una persona viene detto: “Tu hai tre desideri”, sicuramente uno di essi è mangiare, fare un banchetto. La fame era una delle grandi tragedie del popolo almeno fino all’inizio del 1800, per cui nella fiaba c’era questo sogno. C’è una fiaba tedesca, credo raccolta dai fratelli Grimm, in cui un povero contadino dà da mangiare e da bere a una persona che gli dice: “Io in realtà sono una fata, puoi esprimere tre desideri”. Il contadino torna a casa, lo racconta alla moglie, si siedono e lui ha molta fame, quindi il suo primo desiderio è: “Voglio una salsiccia!”. Allora la moglie si arrabbia e dice: “Ma come!? Noi abbiamo tre desideri e tu la prima cosa che chiedi è una salsiccia?”, e comincia a lamentarsi così tanto che il marito esprime il secondo desiderio: “Trasformare il naso della moglie in una salsiccia”. Poi si accorge di aver fatto questo errore e il terzo desiderio è: “Riportare il naso della moglie alla normalità”. Lui ha sprecato i tre desideri, ma l’idea è proprio questa: la prima cosa che gli è venuta in mente non è la ricchezza o un castello, ma è mangiare. Quindi lo scopo delle fiabe popolari era quello di mostrare un mondo in cui l’ingiustizia, la povertà, la fame potessero essere ribaltate.

Invece gli scopi di coloro che scrivono le fiabe sono altri, a seconda di chi le scrive. Riprendiamo l’esempio di Perrault. Nel 1600 egli riscrive la fiaba di Cappuccetto Rosso. Voi probabilmente conoscete la versione dei Grimm, e ci sono tante differenze. La differenza fondamentale è il finale.

Nella versione di Perrault, la ragazza va dalla nonna, entra, il lupo è al posto della nonna nel letto e lei pone le famose domande: “Oh! Che grandi occhi che hai!”, “Quanto pelo!”, ecc… Alla fine dice: “Che grande bocca che hai!”, il lupo risponde: “Per mangiarti meglio!”, e la mangia. Qui finisce la fiaba di Perrault, perché c’è la morale. Ve la leggo: “Da qui si vede come i giovinetti, e soprattutto le belle bambine, amabili, ben fatte e assai carine, fan male ad ascoltar i personaggi sospetti e che non deve, no, meravigliare se tante il lupo ne può divorare. Ho detto il lupo, perché i lupi infatti sono di molte assai diverse sorti, ce n’è di silenziosi e molto accorti, a vederli tranquilli e soddisfatti, che, mirando soltanto al loro fine, seguon le deliziose fanciulle fin nelle case, fin nelle cucine. Ma chi non sa che i lupi così oziosi son davvero pericolosi?”.

Questa morale non parla dell’animale lupo, parla di un lupo “a due zampe”. Perrault scrive per gli adulti, non per i bambini, e quindi può fare riferimento al lupo come qualcosa di più serio che un ladro. Lui dice: attenzione, ragazze, perché ci sono dei lupi – e intende degli uomini – che vi ingannano. Questa è la morale di Perrault, mentre la morale dei Grimm è molto diversa: se le bambine ascoltassero gli ordini dei genitori – vai per il tuo sentiero, non fermarti con gli sconosciuti – non succederebbe loro nulla. Invece le bambine disubbidienti rischiano. Per fortuna che c’è il cacciatore, cioè una figura maschile, che alla fine salva le bambine. La morale è molto diversa, perché i Grimm scrivono per un pubblico di bambini. Nel passaggio dal 1600 al 1800 le fiabe non sono più “per adulti” o “per tutti”, ma diventano “per bambini”.

Una delle nostre domande era proprio questa: i lettori delle fiabe sono solo bambini?

Luca: Oggi si. Oggi le fiabe normalmente vengono concepite per i bambini. E’ un retaggio, un’eredità, del cambiamento della società nel 1800. Prima di allora, nelle monarchie assolute, la società era composta dagli aristocratici – coloro che facevano parte della nobiltà – e poi, più sotto, da tutto il popolo. Nel 1800 le monarchie cambiano, e cambia la struttura sociale. E le fiabe diventano un metodo per insegnare ai bambini come comportarsi.

Che cos’è allora una fiaba?

Luca: La fiaba è una storia, è una narrazione. Uno degli studiosi di fiabe da me preferiti, dice che “la fiaba inizia quando l’uomo comincia a parlarsi”, cioè a raccontarsi una storia. Dal momento in cui racconti una tua esperienza, qualcosa che è successo, e mentre lo racconti crei una storia, stai creando una fiaba. Però non sappiamo quando la fiaba sia iniziata. Noi ce la siamo ritrovata, quando abbiamo cominciato ad avere memoria di ciò che si raccontava, abbiamo scoperto che si raccontavano le fiabe da sempre. L’esempio è qui l’Odissea, che è un’altra raccolta di storie. Forse viene rappresentata e studiata come un’opera unica, immagino. Ma l’Odissea è composta da tante storie, che ritroviamo in parte anche in altri testi antichissimi, che ad un certo punto qualcuno – che abbiamo chiamato Omero – ha trascritto e messo insieme come se fosse una storia unica. In realtà Ulisse continua a “sballottarsi” da una parte all’altra, con nuove avventure sempre più fantastiche, fino alla fine. Sono tante fiabe messe insieme. Quindi in realtà la fiaba è tutto. E’ la narrazione.

Il termine “fiabe” nasce nel 1600, prima non si chiamavano fiabe, ma “cunti” (contes in francese), cioè storie, racconti. La raccolta di fiabe più importante italiana, quella di Giambattista Basile [del 1634, ndr], si intitola Lo cunto de li cunti, cioè il racconto dei racconti. Ma anche il Decameron, che è un altro testo molto importante della letteratura italiana, di Boccaccio [del 1350, ndr], è un’unione di tante storie che possiamo considerare “cunti”, cioè fiabe, favole, narrazione.

Quindi qual è l’origine delle fiabe?

Luca: La risposta ve l’ho già data, ma per farvi capire ancora meglio uso un’allegoria che dice che “la fiaba è come una balena”. Sapete che la balena è un mammifero. Vi siete mai chiesti perché nel mare vivono tutti i pesci e una sola famiglia di mammiferi, di cui la balena fa parte? La risposta è questa. In realtà, la balena quando nacque era una specie di cane, un piccolo cane a quattro zampe, come forma e come grandezza, che viveva quindi sulla terra. Parliamo di tre milioni e mezzo di anni fa, insomma. E’ un piccolo cane che comincia a nutrirsi di pesci e, nell’evoluzione, comincia a vivere nell’acqua. Mangia pesci e si ingrandisce. Probabilmente trova un ottimo modo di sfamarsi, e si ingrandisce. E così si evolve lentamente in quelli che conosciamo come capidogli, delfini, balene. Ebbene, questo autore dice che la fiaba è la stessa cosa, inizia come una storia, poi incontra tante altre storie, si arricchisce, e alla fine diventa quello che oggi conosciamo: migliaia e migliaia di storie, in parte andate perdute perché nessuno le ha trascritte, in parte arrivate fino a noi. Un’enorme quantità di storie tutte raccolte insieme.

L’origine della fiaba è questa. L’uomo comincia a parlare, a raccontare storie. E queste storie si uniscono, si mescolano, cambiano, si scindono, Però, alla fine, sono tutte fiabe.

Infine un’ultima domanda. Che rapporto c’è tra fiaba e avventura?

Luca: La fiaba ha rapporti con tutti gli altri generi. Voi dite che la “fiaba” è un genere. Oggi studiamo la fiaba, domani l’avventura, dopodomani l’horror, e poi il giallo, ecc… La fiaba è in realtà l’unico genere che può raccoglierli tutti. Nella fiaba c’è la paura, l’avventura, il mistero, il fantasy. Non c’era la fantascienza, ma adesso ci sono anche le fiabe fantascientifiche. Sono tutti generi che la fiaba raccoglie, assorbe. Non vi dico di andare dal professore a dire che la fiaba non è un genere, perché può essere considerato un genere, ma in realtà è un genere che sta sopra tutto il resto. Quindi l’avventura è una parte delle fiabe, ma non di tutte le fiabe.

Cosi come l’orrore. Facciamo l’esempio di Barbablu. La conoscete quella fiaba? Lei va nel castello del nuovo marito, il quale le dice: “Puoi andare ovunque, ma non aprire mai questa porta!”. Naturalmente è la prima porta che lei apre e trova i cadaveri che pendono dal soffitto con tutto il sangue per terra. Questo è horror. Poi le cade la chiave nel sangue e non riesce più a pulire la macchia. Ne puoi trovare tantissime versioni, le fiabe cambiano continuamente. Nella versione più antica che noi conosciamo è il sangue che non va più via. Ma nel momento in cui diventano fiabe “per bambini” certi aspetti vanno un po’ cancellati.

E infatti non ce la ricordavamo così horror!

Luca: Vi ho portato una versione di Cappuccetto Rosso che è stata raccolta nel XVII secolo. E’ una delle tante versioni della fiaba da cui Perrault ha tratto la sua storia. Ma in questa storia il lupo arriva a casa della nonna, la uccide e la taglia a pezzi. Mette un po’ della sua carne nella dispensa e un po’ di sangue in una bottiglia. Quando arriva Cappuccetto Rosso, il lupo le chiede: “Bene! Hai fame? Mangia un po’ di carne! Bevi un po’ di vino!”. E lei mangia la carne della nonna e beve il suo sangue. Stiamo parlando di una fiaba che viene raccontata a tutti, bambini e adulti. Poi il lupo la invita: “Vieni a letto con me”, e lei risponde: “Va bene, ma dove metto il mio grembiule?”, lui risponde: “Buttalo nel fuoco, non ti serve più”. Dunque lei si spoglia e va a letto con il lupo. E a quel punto le sorgono dei dubbi: “Quanti peli che hai, nonna!”, “Che bocca grande che hai!” e il lupo dice: “Ce l’ho per mangiarti!”. Qui la versione è completamente diversa da quelle che poi verranno scritte. Cappuccetto Rosso in questa storia è una bambina del popolo, la sua storia è raccontata da gente che vive vicino ai boschi, che lavora, i cui figli e figlie non possono essere così sciocchi da non sapere com’è pericoloso il bosco, e come bisogna essere capaci di liberarsi dalle trappole del bosco. Quindi la bambina gli dice: “Si, però devo fare la pipì, esco?”. “No, – fa il lupo – falla nel letto”. “No, non voglio farla nel letto, mi fai uscire?”, ribatte lei. Allora il lupo lega una corda alla gamba della bambina e la lascia uscire. Ma lei slaccia la corda, la lega ad un albero e scappa via. Il lupo continua a tirare la corda, pensando che la bambina sia ancora fuori. Dopo un po’ domanda: “Beh, hai finito?”, ma si accorge che la bambina non c’è. La insegue ma lei riesce ad arrivare a casa prima del lupo. In questa versione, non solo la bambina si salva, ma è lei stessa che lo fa, non è il papà cacciatore che la mette in salvo, e il lupo non la mangia.

E dunque non c’è l’eroe?

Luca: E’ lei l’eroina. E’ una bambina che vive vicino ad un bosco, sa che il lupo è un pericolo vero e proprio, cioè qui si parla di lupi in tanti sensi. La bambina che va nel bosco deve essere capace di tornare salva, perché non c’è nessuno che ti aiuta se tu non sei abbastanza sveglia per uscirne. E infatti nelle fiabe tradizionali di Cappuccetto Rosso lei non ha un cappuccetto rosso, né un vestito rosso. E’ una bambina qualsiasi. Il cappuccetto rosso glielo mette Perrault. Perché? Una delle ipotesi è che il vestito rosso sta ad indicare che non è una bambina popolana, ma di una famiglia un po’ più ricca, e quindi è più accettato il fatto che venga ingannata, perché lei non vive nel bosco, come chi abita nei villaggi, raccoglie la legna e lavora la terra. E’ più facile ingannarla. Dunque Perrault dice: “Attenzione, bambine belle, ci sono i lupi!”.

Ho risposto alla vostra domanda? La fiaba ha tutti i generi, perché sta sopra a tutti i generi. Nell’avventura troverete anche altri generi, un po’ di horror, di fantascienza, di fantasy, ecc. però l’avventura è avventura, la fiaba è tutto.

Vi lascio con il testo di questa versione di Cappuccetto Rosso, se volete inserirla. E’ qualcosa che ha che fare con la vita dell’epoca, nel senso che le ragazze usavano gli spilli per acconciarsi i capelli o i vestiti, voleva dire essere entrati nella pubertà e nella vita sociale; gli aghi invece servivano per lavorare. E sappiamo che i bambini lavoravano, l’infanzia è un’invenzione successiva. Quello che si sa è che la protagonista si ferma a raccogliere gli spilli o gli aghi, a seconda delle versioni, e perde tempo. La bravura del narratore era quella di capire chi aveva di fronte e raccontare la storia mettendoci quelle variazioni che avrebbero attratto gli ascoltatori.

Ecco il testo completo:

BARBARA, KINE, DIEGO (2018)

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