Nell’a.s. 2009/2010 la Scuola Media “Leonardo da Vinci” di Sant’Ilario d’Enza (Reggio Emilia) partecipò al concorso dedicato alla shoah “Lezioni di memoria per non dimenticare”, promosso da Coopsette. Il concorso prevedeva una sezione di letteratura e una di disegno, e tutti i vincitori, insieme a studenti di altre scuole della provincia, si recarono in viaggio al campo di concentramento di Mauthausen, nei pressi di Linz (Austria). La classe 3D si cimentò in entrambe le prove, e qui presentiamo uno dei testi finalisti di quella classe, poi selezionati per comporre un libricino autoprodotto, dal titolo “Sguardi nel passato”.
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3 novembre 1944
Mi chiamo Joseph Bernstein e sono prigioniero nel campo di concentramento di Auschwitz.
Sono stato arrestato dai tedeschi insieme alla mia famiglia dopo aver fatto un lungo viaggio in treno chiusi in vagoni per bestiame.
Attraverso piccole fessure si poteva intravedere il paesaggio scorrere velocemente. Anche i miei pensieri scorrevano velocemente, non riuscivo a capire dove ci stessero portando.
Eravamo tutti spaventati, abbracciati l’uno con l’altro, confortavamo i nostri bambini per tranquillizzare le loro domande e le loro paure. Dovevo proteggere la mia famiglia a qualunque costo, non mi interessava sacrificare la mia vita per loro, anzi se quello era il mio destino ero pronto a farlo. Dopo aver viaggiato a lungo arrivammo a destinazione.
Ci fecero scendere in fretta, cominciarono a dividere uomini, donne, bambini, anziani, con fatica, perché eravamo tutti avvinghiati fortemente e non volevamo dividerci dai nostri cari; ma facendo così i tedeschi si innervosirono e cominciarono a bastonare e prendere a calci tutti pur di separarci. Io mi ribellai facendo scudo sulla mia famiglia, supplicando la loro libertà in cambio della mia, ma non riuscii nell’intento di farlo capire a queste persone senza anima…
Mi strapparono dalle mani i miei figli urlanti di dolore, io cercai di trattenerli il più possibile vicino a me rincuorandoli che sarebbe andato tutto bene, ma la violenza usata nei nostri confronti era brutale. A fare questa selezione furono dei medici, la cui prestazione professionale si limitava a un’occhiata distratta alla cenciosa colonna di internati che passava davanti a loro e a un cenno arrogante col frustino.
Io, uomini e donne giovani, venimmo risparmiati, perché avendo un aspetto sano eravamo in grado di lavorare. Venimmo rasati e tatuati con un numero di matricola, e il mio era l’ 11856.
Tutti gli altri non idonei al lavoro perché anziani o malati o bambini o donne incinte venivano condotti negli spogliatoi con a fianco una sala per le docce e veniva consegnato un sapone finto fatto di sabbia.
Nessuno poteva immaginarsi quello che sarebbe accaduto.
Vedendo il fumo fuoriuscire dai camini dei crematori capii qual era stata la sorte di quella povera gente. Il giorno dopo non avevo la forza di parlare, ero stordito da quello che avevo visto e mille pensieri mi tormentavano: perché non vedevo la mia famiglia? Dove erano? Che fine avevano fatto? Non riuscivo a riflettere, era tanta la paura di averli persi.
Così mi feci coraggio e mi dissi: Joseph, se un giorno vuoi rivedere la tua famiglia devi fare di tutto per uscire da questo lager! La mattina seguente mi alzai alle cinque per andare all’appelplatz, la piazza per l’appello dei deportati.
Questa era un’operazione di abbattimento morale in quanto durava da una a due ore e se si prolungava voleva dire che l’appello aveva carattere di punizione. Finito l’appello avevamo il compito di lavorare tutto il giorno e solo alla sera ci davano da mangiare: ci trattavano peggio degli animali. Spesso al mattino, durante il risveglio, mi ritrovavo i compagni della sera precedente morti.
Quando questo accadeva, mi chiedevo: perché sono morti? Perché non io?
Forse perché sono più resistente o forse perché… Non sapevo mai trovare una risposta a tutto ciò così surreale. Sono già passati quattro mesi dal mio arresto e il mio corpo e il mio volto sono ridotti a pelle e ossa: sono irriconoscibile.
Però ho ancora una speranza: libertà!
Ora devo scappare, le guardie stanno arrivando! Spero che un giorno qualcuno trovi questa lettera che sto per sotterrare: è l’unico modo per testimoniare, l’unico modo per dimostrare che questi fatti stanno realmente accadendo.
Il pensiero che in questo momento mi sta ossessionando è: quando finirà questo inferno?
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MARTINA, 2010
La foto di copertina è stata scattata al Lager di Mauthausen (Austria) nel 2010