Vuoto

“Aaaaaaah!” Fu così che Rifka si svegliò un normalissimo lunedì mattina. O almeno così sembrava. 

Di solito era Rifka quella drammatica di lunedì, non la mamma. Quel giorno, invece, fu proprio quest’ultima a svegliare il resto della famiglia con quell’urlo isterico. 

“ Che c’è tesoro?” tuonò la voce irritata del papà. 

Rifka intanto si era alzata con fatica e si era diretta con un fare da zombie verso la cucina. Di certo il lunedì non era il giorno preferito di nessuno nella sua famiglia (con eccezione del fratello maggiore che ultimamente andava a scuola con un’estasi alquanto sospettosa), ma una reazione così tragica verso l’inizio della settimana capitava raramente. 

“IL MONDO! È SCOMPARSO!” 

Rifka ci pensò su un istante e giunse alla conclusione che non sarebbe stato male se fosse successo davvero.

Poi ci fu un silenzio quasi assordante, interrotto solo dai biascichi di Rifka che faceva colazione e infine dal fratello, che scese le scale fischiettando. Rifka lo fulminò con lo sguardo mentre metteva le posate in lavastoviglie. Poi finalmente si decise ad andare a vedere cosa turbava tanto sua madre. 

Forse per il fatto che era ancora mezza addormentata, forse perché il concetto di vuoto è difficile da afferrare, ma Rifka quando guardò fuori dalla finestra si mise a ridere sotto gli sguardi increduli dei genitori. Fuori dalla finestra infatti non c’era niente: per niente la gente pensa ad uno spazio tutto nero o tutto bianco ma in questo caso per niente si intende proprio niente, nel pieno significato della parola. 

Dopo poco tempo arrivò anche il fratello che ebbe esattamente la reazione opposta, rispetto alla sorella: svenne. Per poco non si sfracellò a terra, il padre lo afferrò appena in tempo per le braccia. 

Intanto Rifka si era ripresa. Forse non era poi così divertente abitare in una casa nel bel mezzo del nulla. Decise che la prima cosa da fare era mandare un messaggio a Natalie, che a quest’ora sarebbe già dovuta essere arrivata a casa di Rifka e avrebbe suonato il campanello per andare a scuola insieme. Ma Rifka era abbastanza furba da realizzare che forse non era poi così semplice suonare il campanello di una casa che si trova nel nulla. Quando aprì Whatsapp dal telefono, però, realizzò che in effetti in una casa che si trova nel nulla è raro che ci sia connessione internet.

Allora tornò giù, dove intanto suo fratello era rinvenuto e si stava disperando per il fatto che non poteva andare a scuola nonostante avesse così tanta voglia di studiare e imparare cose nuove (Rifka non si ricordava di averlo mai visto chino su un libro). Rifka andò in sala e si avvicinò alla porta di ingresso della casa. Rimase lì per cinque minuti a decidere se aprire o no. Decise di aprire e affacciarsi. Affacciarsi e basta però, in fondo prima o poi le provviste di cibo sarebbero finite e sarebbe risultato comodo sapere come procurarsene altro. Allora Rifka aprì. 

Richiuse subito. Aveva reagito come d’istinto. Durante quella frazione di secondo si era sentita come risucchiata dal vuoto e ora si sentiva assurdamente stanca. 

Passarono giorni,  giorni diventarono settimane e la dispensa ormai era vuota. Negli ultimi giorni in famiglia avevano mangiato quei cibi che compri una volta poi rimangono in dispensa per anni: verdure sott’olio, caramelle scadute, carne in scatola e addirittura la farina. Essendo immersa nel vuoto, nella casa non c’era l’acqua corrente. Fortunatamente nella famiglia di Rifka si beveva l’acqua dalla bottiglia e c’era sempre un’abbondante scorta d’acqua. Rifka durante i primi giorni di isolamento aveva pensato a cosa pensassero i suoi compagni e cosa vedessero loro al posto della sua casa, magari un buco nero o forse tutta un’altra cosa ancora. Magari la sua casa era stata occupata da dei sosia della sua famiglia e nessuno se ne era accorto, chissà cosa sarebbe successo se un giorno fossero ricomparsi loro…

Ora la sua stanza era un porcile: negli ultimi giorni, in preda alla disperazione, aveva cercato briciole di cibo e resti di merenda in tutti gli angoli della sua stanza. Rifka era sempre stata una ragazza estremamente ordinata: il disordine le alterava la mente. La stanza della ragazza non era grande, ci stava giusto un letto, un armadio e una piccola scrivania. Rifka però non aveva mai avuto bisogno di altro: bastava che la stanza rimanesse perfettamente in ordine. Non per niente si dice che la camera da letto di una persona rispecchia la mente di quella persona. 

Ora la sua stanza faceva paura. Il suo diario, che teneva da tutta la sua vita (dal momento in cui imparò a scrivere, ovviamente) si trovava tutto strappato in un angolo della stanza. Rifka non sapeva come fosse potuto succedere. Un giorno lo vide lì e basta, non si disperò neanche.

Sempre più spesso la fame e la solitudine le procuravano allucinazioni e incubi. La sua famiglia non la vedeva più veramente, ed era meglio così: il viso sempre allegro e pieno di vita di suo fratello era pallido, quasi morto. Era proprio lui il principale protagonista dei suoi incubi. Tutte le mattine Rifka si svegliava fradicia di sudore senza avere la più pallida idea di cosa fosse successo la notte. Era la sera che le tornavano in mente gli incubi della notte prima. Quello più frequente era quello del vuoto. L’unica cosa che Rifka vedeva nel sogno era il vuoto. La sua mente cercava in tutti i modi di pensare a qualcosa, qualsiasi cosa, sudando sette camicie. Ma questo non era il peggiore tra tutti. Il peggiore era quello in cui il protagonista era il fratello. La faccia del fratello che piangeva.

Il fratello di Rifka era sempre stato un ragazzo estremamente premuroso nei confronti della sorellina. Quando Rifka stava male era lui a prendersene cura, quando non capiva i compiti era lui ad aiutarla e quando non riusciva a dormire era lui a tranquillizzarla. 

Crescendo Rifka aveva quasi cominciato ad avere un senso di debito verso il fratello, che non sapeva come saldare. La sua mente ormai folle seppe sfruttare al meglio questa sua preoccupazione facendola gridare come una forsennata tutte le notti. 

Fu così che un giorno si trovò davanti all’uscio di casa. Sentiva la sua mente urlare parole incomprensibili, ma dal significato più chiaro che mai: doveva trovare una soluzione. Una soluzione a questa situazione assurda in cui si trovava la sua famiglia. Una soluzione alla fame. Doveva salvare suo fratello, o almeno provarci. Magari il vuoto era solido e Rifka sarebbe riuscita a raggiungere il mondo correndo. 

E fu così sua madre la vide: pallida, con lo sguardo perso nel vuoto e la mano sulla maniglia. 

E fu così che sua madre gridò.

E fu così che Rifka lo fece.

Fu così che Rifka aprì la porta.

Fu così che Rifka uscì.

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SARA “VAN DER BREGGEN”, 2023

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In copertina e nell’articolo: “Paper style isolation still life assortment“, immagini tratte da Freepik.

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