La zona grigia

La zona grigia (tit. or. The Grey Zone), di Tim Blake Nelson (USA 2001, 108′)

Il film si basa sulla testimonianza del dottor Miklós Nyiszli, un ebreo ungherese che lavorava nel lager di Auschwitz-Birkenau come medico. La storia realmente accaduta racconta la vita nel campo dal punto di vista dei Sonderkommando, i prigionieri ebrei che facevano i lavori più sporchi al posto dei soldati, in cambio di condizioni di vita migliori. In particolare, il film tratta l’organizzazione di una rivolta dei prigionieri (ottobre 1944). I Sonderkommando ricevono armi dagli abitanti dei villaggi circostanti e polvere da sparo dalle donne prigioniere che lavorano in una fabbrica bellica. Intanto Hoffman, uno del Sonderkommando, dopo aver picchiato a morte un prigioniero ebreo, trova una ragazza sopravvissuta alla camera a gas…

La “zona grigia” ha più significati, ma secondo noi (studentesse e studenti delle classi 3D e 3E) vuole indicare il ruolo del Sonderkommando all’interno del campo: infatti essi sono allo stesso tempo vittime e carnefici, prigionieri e guardiani, bene e male. Il colore grigio è anche molto rappresentato nel film: infatti ricorda le ceneri dei corpi cremati e il cielo sopra ai campi. Esso viene ripreso poche volte ma è sempre di colore scuro, non è mai azzurro, non è mai sereno. 

Crediamo sia importante guardare questo film, soprattutto in terza media, perché parla dello sterminio da un punto di vista insolito rispetto ad altri film che trattano l’argomento visto dagli ebrei o dai nazisti. Inoltre è molto accurato a livello storico, a parte per un unico elemento straniante che è la bambina sopravvissuta alle camere a gas. 

E’ interessante confrontare il messaggio del film con le parole di Primo Levi, tratte dal suo libro “I sommersi e i salvati”:

“Dove esiste un potere esercitato da pochi, o da uno solo, contro i molti, il privilegio nasce e prolifera, anche contro il volere del potere stesso; ma è normale che il potere, invece, lo tolleri o lo incoraggi. Limitiamoci al Lager, che però (anche nella sua versione sovietica) può ben servire da “laboratorio”: la classe ibrida dei prigionieri-funzionari ne costituisce l’ossatura, ed insieme il lineamento più inquietante. È una zona grigia, dai contorni mal definiti, che insieme separa e congiunge i due campi dei padroni e dei servi. […] Un caso-limite di collaborazione è rappresentato dai Sonderkommandos di Auschwitz e degli altri Lager di sterminio. Qui si esita a parlare di privilegio: chi ne faceva parte era privilegiato solo in quanto (ma a quale costo!) per qualche mese mangiava a sufficienza, non certo perché potesse essere invidiato.

[…] Uno di loro ha dichiarato: <A fare questo lavoro, o si impazzisce il primo giorno, oppure ci si abitua>. Un altro, invece: <Certo, avrei potuto uccidermi o lasciarmi uccidere; ma io volevo sopravvivere, per vendicarmi e per portare testimonianza. Non dovete credere che noi siamo dei mostri: siamo come voi, solo molto più infelici>.

Locandina del film “La zona grigia” in lingua ceca.

Ci dice ancora Levi: “Aver concepito ed organizzato le Squadre è stato il delitto più demoniaco del nazionalsocialismo. Dietro all’aspetto pragmatico (fare economia di uomini validi, imporre ad altri i compiti più atroci) se ne scorgono altri più sottili. Attraverso questa istituzione, si tentava di spostare su altri, e precisamente sulle vittime, il peso della colpa, tal ché, a loro sollievo, non rimanesse neppure la consapevolezza di essere innocenti.

Non è facile né gradevole scandagliare questo abisso di malvagità, eppure io penso che lo si debba fare, perché ciò che è stato possibile perpetrare ieri potrà essere nuovamente tentato domani, potrà coinvolgere noi stessi o i nostri figli. Si prova la tentazione di torcere il viso e distogliere la mente: è una tentazione a cui ci si deve opporre. Infatti, l’esistenza delle Squadre aveva un significato, conteneva un messaggio: <Noi, il popolo dei Signori, siamo i vostri distruttori, ma voi non siete migliori di noi; se lo vogliamo, e lo vogliamo, noi siamo capaci di distruggere non solo i vostri corpi, ma anche le vostre anime, così come abbiamo distrutto le nostre>”.

In un dialogo a distanza, che è impossibile fino a quando ella è in vita – poiché non parla e non ha nome, perché rappresenta tutte le vittime – la ragazzina prima salvata descrive e commenta il suo destino e quello degli altri prigionieri: “Io prendo fuoco in fretta. La prima parte di me si solleva in un fumo denso che si mischia col fumo degli altri. Poi ci sono le ossa che si depositano in cenere. E, infine, piccole parti della nostra polvere galleggiano nell’aria, intorno al lavoro del nuovo gruppo. Sono parti di polvere grigie che si depositano sulle loro scarpe, sui loro vestiti, sui loro volti, nei loro polmoni. Si abituano così tanto alla nostra presenza che non se ne accorgono più, non ci spazzolano più via. A questo punto si muovono e basta, respirano e si muovono, come chiunque altro ancora vivo in quel posto. E questo è come il lavoro, continua”.

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BILLIE e KARIM, 2023

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In copertina e nell’articolo: fotogrammi del film “La zona grigia” (2001);

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