Salgado e l’Africa in bianco e nero

La mattina di sabato 16 marzo 2019, gran parte degli alunni delle classi 2D e 2E ha partecipato ad una uscita per visitare la mostra fotografica “Africa” di Sebastiao Salgado, al Binario49 in via Turri. Sono andati a piedi, visto che non c’era molta strada da percorrere, partendo dalla nostra scuola. Lì hanno visitato una mostra composta da cento foto, sulla quale ognuno di loro ha infine dato un giudizio. La mostra è stata molto apprezzata e tutti ringraziano la loro guida, Khadija Lamami.

.

Cos’è questo luogo

Il bookshop del Binario49.

Questo edificio è stato costruito negli anni ’60 del secolo scorso. Fino a pochi mesi fa era un circolo dell’ARCI, una associazione che rappresenta molte realtà, di tanti tipi. Tutti i circoli sono stati sempre in convenzione con il Comune. Dopo che l’ultima convenzione è scaduta, il Comune ha voluto fare qui qualcosa di nuovo.

Questo qualcosa è un bando. Un bando è quando qualcuno dice che c’è un luogo libero (o dei fondi a disposizione) per chi ha un progetto.

Le attività settimanali al Binario49.

Dopodiché tante persone si sono presentate con il loro progetto, per venire a fare delle cose in questo posto. L’associazione “Casa d’altri” ha proposto la realizzazione di un caffè letterario, dove si eseguono diversi progetti/attività quali il Bookcrossing, incontri, mostre, spettacoli, musica, un doposcuola per i ragazzi e tante altre. E ha vinto il bando.

.

Perché al quartiere Stazione

Via Turri, quartiere Stazione, Reggio Emilia 2019.

Qualcuno potrebbe chiedersi: perché fare un caffè letterario proprio in questo quartiere, nonostante si parli male di esso? Khadija racconta: “Del resto è un quartiere come tutti gli altri e criticarlo non è di certo la cosa migliore da fare. Alle persone del Binario49 non piaceva tutto ciò, perciò volevano restituire una bella immagine anche con l’aiuto delle persone che vivono in questo quartiere. Tanti hanno dato un immenso contributo, pulendo, pitturando, portando attrezzi e materiali pesanti e tanto altro”. L’unione fa la forza e attraverso queste persone, in poco tempo, sono riusciti a realizzare tutto quello che oggi noi vediamo.

Binario49, Reggio Emilia 2019.

Khadija ci dice che hanno messo in piedi anche un altro progetto, cioè uno sportello di assistenza legale gratuita. Adesso ci sono delle persone che vengono a prendere molte informazioni su un argomento che è molto confuso in questo momento in Italia, per i cittadini stranieri che hanno un permesso di soggiorno. Ora ci sono delle leggi che non aiutano molto le persone che hanno bisogno di trovare un lavoro, avere una residenza e perciò questi avvocati non solo danno delle informazioni, ma aiutano a capire le leggi ed a risolvere i problemi delle persone. In tutto ciò questi ragazzi si mostrano disponibili, e non vengono pagati.

.

Perché si chiama Binario49

Il logo

Khadija spiega che ci sono tanti significati per questo nome. Il linguaggio binario è un codice che permette di comunicare (anche tra computer). È stato chiamato così anche per il semplice motivo che è molto vicino alla stazione, con i suoi binari. Poi 49 è il civico numero 49 di via Turri. C’è un numero all’interno del logo perché si vuole far intendere fortemente che sono lì, che si trovano in quel determinato posto.

.

Com’è nata questa mostra di Salgado

Ci dice Khadija: “La cosa più bella è sognare assieme agli altri, avere un progetto e trovare la forza del proprio desiderio che incontra quella del desiderio degli altri. Così, si innescano dei vortici straordinari. Non si smette mai di sognare. L’importante è credere che i sogni si possano realizzare”. Khadija e Claudio – l’altra persona con la quale ha realizzato la mostra – non avevano molte cose in comune. Claudio è un astrofisico, quindi pensa solo allo spazio, ai numeri, alle stelle, ai gas, alla materia, ai buchi neri, ai pianeti, a quanto sia freddo su Giove, se c’è l’acqua su Marte, ecc… Khadija invece è un’antropologa, le piace guardare le persone, sapere e immaginare da dove vengono, come si comportano, che cos’è che li spinge a comportarsi in quel modo, cosa pensano, ecc…

Il catalogo di una celebre mostra di Salgado al bookshop del Binario49.

La guida, essendo curiosa, aveva chiesto a Claudio – che è stato dieci anni in Brasile ad insegnare astrofisica all’Università – se conoscesse qualcuno che conosceva Salgado, il fotografo vivente più importante del mondo, che ha scattato foto molto belle riguardanti sia gli uomini che la natura.

Egli ha vissuto un’esperienza speciale nella sua vita, è una persona che si è impegnata tanto anche per i diritti delle persone e ha avuto molti riconoscimenti. E così hanno provato a scrivere una email a qualche amico che Claudio aveva conosciuto in Brasile.

Al bar del caffè letterario.

Uno di questi vive nello Stato in cui è nato Salgado, ed è proprio grazie a lui che sono riusciti ad entrare in contatto con lui. E una mattina Salgado li ha chiamati. Con loro è stato molto gentile, cortese, molto al loro livello e per niente arrogante.

Più tardi gli hanno raccontato cosa stavano facendo al Binario49. Dopo aver sentito il racconto di Khadija e Claudio, Salgado ha detto loro che adorava le persone che fanno cose controcorrente. In realtà avrebbero potuto tranquillmente aprire un bar, un caffè letterario, in centro storico, potevano andare ad aprire un chiosco al mare e invece hanno voluto venire a realizzarlo prorio in un posto di questo tipo. Così hanno continuato a parlare per un anno intero, fino a quando hanno realizzato questa mostra.

.

L’Africa vista da Salgado

La mostra “Africa” di Salgado, al Binario49, Reggio Emilia 2019.

Salgado ha voluto premiarli, portando nel quartiere una mostra che considera la più importante della sua carriera. Ha portato a loro, in anteprima nazionale in via Turri, una mostra che non è mai arrivata in Italia fin’ora. La mostra è composta da cento tra le foto più importanti fatte da Salgado nell’arco di trent’anni, tutte in Africa. Perché è la più importante? Perché Salgado non è nato come fotografo, ma come economista. Lui è andato in Africa con in tasca una laurea con un voto molto alto in economia, inviato (e pagato bene) da un’azienda che voleva commerciare il caffè.

Quando è arrivato in Africa, ha visto cose sia molto belle che molto brutte e aveva con sé una macchina fotografica. Ha cominciato a raccontare quello che vedeva attraverso le fotografie.

Ad un certo punto, la sua carriera si è interrotta, perché nel 1994 è successa una cosa terribile. In Ruanda, un paese situato in Africa, per colpa dell’odio due tribù hanno cominciato una guerra. In Ruanda esistono tre tribù principali, una molto piccola e due molto importanti: gli Utu e i Tutzi. Si distinguono perché gli Utu sono agricoltori (l’agricoltura è molto importante e il Ruanda è un posto molto fertile) e i Tutzi, per tradizione, si occupano del commercio. Ma le due attività erano integrate e i due gruppi erano in pace (tra di loro ci si poteva anche sposare).

In coda all’ingresso della mostra, Binario49.

Poi il problema arrivò. Nel 1934, quando in Europa si era già diffuso l’odio scatenato dal nazismo e dal fascismo, delle persone provenienti dall’Europa, precisamente dal Belgio, hanno portato alcune idee europee in Ruanda e hanno cominciato a classificare le persone misurandole. Una distinzione che hanno scoperto tra gli Utu e i Tutzi era quella dell’altezza, e così gli Europei li dividono e impongono delle leggi per le quali il commercio viene affidato esclusivamente ad un gruppo, a sfavore dell’altro. I belgi concessero il potere solo a quelli che volevano loro, quindi si è innescato l’odio. Proseguendo così, si è trascinato ed è esploso nel 1994, quando Salgado era lì e ha visto morire migliaia e migliaia di persone. Lui è lì e si annienta, soffre talmente tanto per questa cosa che non vuole più fare fotografie.

Dall’Africa però, riparte la sua esperienza di fotografo, perché Lélia – sua moglie – gli dice che deve guarire, e gli consiglia di tornare a fare fotografie. Sebastiao, dopo aver sentito le parole della moglie, è ritornato in Africa. Sebastiao Salgado ci vuole dire: “Io sono nato in Africa come fotografo, lì mi sono interrotto e lì sono rinato come fotografo”.

.

L’Africa, una lunga storia di colonialismo

Nelle foto che la 2D e la 2E hanno visto, si capiscono molto bene le ragioni per le quali tante persone del continente africano vogliono venire in Europa. Ne hanno il bisogno, perché scappano dall’Africa e quindi – dice Khadija – “la retorica di chiudere i porti è una retorica orribile”. Queste motivazioni sono anche cause provocate dall’Europa, con la colonizzazione di inglesi, francesi, portoghesi, tedeschi, olandesi. “Anche gli italiani ci hanno provato e hanno fatto dei disastri anche nel poco tempo in cui sono riusciti a rimanere”, aggiunge Khadija.

Binario49, il flyer della mostra “Africa”.

Cosa succede durante la colonizzazione? La guida lo spiega con parole semplici, per noi studenti: “Uno ad un certo punto occupa con la forza un altro paese, e dice agli abitanti che devono iniziare a parlare e studiare in un’altra lingua, quella che parla lui, che devono cambiare religione, e soprattutto coltivare e produrre quello che dice lui, per il mercato europeo. E’ ciò che accadde in Marocco e in Algeria con i francesi. Per esempio, in Marocco c’erano delle leggi a favore delle donne ma i francesi, capendo l’importanza della donna nella società marocchina, hanno fatto delle leggi contro le donne perché, per loro, quelli che stavano dall’altra parte erano dei selvaggi, e dovevano essere per forza diversi”.

.

Le foto della mostra: gli uomini e le donne

Salgado, già con la prima foto del 1974, sceglie lo stile bianco e nero. Ci siamo chiesti il significato di questa scelta e abbiamo detto che così l’elemento rappresentato sarà più evidente. In questo modo le persone si soffermeranno sul concetto, su un tema più espressivo che simbolico.

Studenti in visita alla mostra “Africa” di Salgado, al Binario49, Reggio Emilia 2019.

Quando è arrivato in Africa, c’erano molte cose che stavano succedendo, molti movimenti politici si stavano organizzando per liberare il prorio paese dalla presenza dei colonialisti (“Come i partigiani in Italia”, ha suggerito uno studente). Alla mostra c’è una foto scattata ad una manifestazione in Angola che risale al 1975, quando era ancora una colonia del Portogallo. In un’altra foto c’erano le conseguenze delle rappresaglie contro i ribelli. Le persone, quando venivano uccise, subivano anche il gesto brutale di essere poi bruciate.

Gli alunni hanno visto una foto in cui c’era una donna che aveva perso una gamba per via della guerra (come il nostro Giovanni de’ Medici, ma lei vittima di mine). Probabilmente era nel campo che raccoglieva i feriti. Ci sono delle mine chiamate “mine antiuomo”, sono piccole e nascoste sotto il terreno, dove c’è un passaggio. Bisogna sapere che, oltre a queste, ci sono anche mine fatte apposta contro i bambini. Per renderle più “efficaci”, le fanno colorate o a forma di giocattoli, quindi i bambini si avvicinano attratti dai colori o dalle forme, e le toccano. Da questo, si capisce che la cattiveria umana non ha mai limiti.

Studenti in visita alla mostra “Africa” di Salgado, al Binario49, Reggio Emilia 2019.

Ogni donna, abbiamo notato, ha sulla testa questa specie di fazzoletto che forma uno spazio cavo, come un vaso, utilizzato per trasportare oggetti anche molto ingombranti e pesanti. Le donne portano con sé, allacciati sulla schiena, i figli molto piccoli. E lo fanno anche mentre lavorano nei campi. Il gruppo familiare “donna con bambino” è ricorrente nelle foto della mostra, rappresenta la mancanza di luoghi per i bambini/neonati come, ad esempio, asili o asili nido. Se la donna, in questo caso la mamma, lavora nei campi, il figlio passa la giornata attaccata a lei.

Uno dei principali fattori che fa diventare molto belle le foto di Salgado è la prospettiva. Le foto che procedono sono molto diverse tra loro, la prima è il ritratto di una persona (in questo caso di un bambino), mentre la seconda rappresenta tanti ragazzi insieme e risale al 1997. Confrontandole, il bambino sembra più piccolo, di conseguenza sembra meno consapevole di quello che accade, invece nell’altra foto i ragazzi appaiono più consapevoli.

Possiamo capire che le persone che vivono in Africa sono molto povere vedendo la loro scuola, arredata solo con semplici sgabelli su cui siedono gli studenti. Nonostane quella foto sia di soli vent’anni fa, la scuola è apparsa primitiva agli occhi degli studenti di oggi. Proseguendo, c’è una foto in cui è rappresentato un campo profughi in Tanzania, la gente è dovuta scappare, per provare ad avere un minimo di normalità e c’è un sarto che lavora in mezzo al nulla. Ci sono delle foto con orfani che cercano di scappare. Nel ritratto di un altro bambino, gli occhi sono due volte più grandi della bocca (fa un po’ impressione), ma si vede che ha voglia di vivere, nonostante abbia una vita difficile. È ritratto con una cesta che tiene ribaltata sulla testa, forse lavora. Vengono scattate foto di vita quotidiana, come quella in cui c’è un pastore che ha portato gli animali a bere.

Studenti in visita alla mostra “Africa” di Salgado, al Binario49, Reggio Emilia 2019.

Andando avanti, gli alunni hanno fatto un’osservazione: c’era un uomo fra un gruppo di lavoratrici, che restava fermo e non lavorava. Può darsi che fosse uno di quelli che sta lì a controllare se tutto va a norma (come nelle piantagioni sudamericane nel film Mission). La raccolta del tè e un’operazione agricola che finora non si è riusciti a meccanizzare, e quindi qualche mano la deve fare. Ecco allora due mani, a prima vista sembrano due occhi, poi si capisce subito che sono mani che lavorano, di una persona che passa ore e ore a fare la stessa cosa.

Nell’ultima foto sono rappresentate due scene: sullo sfondo alcuni pastori fanno pascolare gli zebù (una sottospecie di bos taurus), in primo piano delle persone stanno mungendo e un vitello sta bevendo il latte. Le mucche che si vedono generalmente in Europa sono di razze selezionate, senza corna. Se devono vivere in stalla, conviene che le corna non ci siano, ma gli zebù della foto vivono all’aperto, non chiusi in un piccolo spazio, quindi probabilmente hanno subito un’altra selezione.

.

Le foto della mostra: la natura

Una delle foto è stata scattata sicuramente di notte, e ritrae un leopardo che va a bere. Avvicinandosi alle foto con tema la natura, gli studenti si sono soffermati sulle foto della duna. La duna è un ambiente naturale che ha forme facilmente modellabili, perché il vento può arrivare da ogni direzione e la stessa duna cambia forma. La forma è molto mutevole. Questo vuol dire che quelli che viaggiano attraverso il deserto (le carovane), si possono facilmente perdere. La duna non riesce a durare nel tempo e se lo stesso viaggiatore ritorna nello stesspo posto un anno dopo, non lo riconoscerà più, sarà come un luogo nuovo, sconosciuto e del tutto diverso. Anche il fiume cambia corso e le piante del deserto a volte rotolano, il viaggiatore non potrà mai considerarli come punti di riferimento. In poche parole, nella duna c’è la mancanza di punti di riferimento.

In una delle ultime foto, è rappresentata una fila di zebre. Questa foto simboleggia l’essere compatti e uniti in un unico gruppo, il branco, come a rappresentare una tribù.

.

Le considerazioni degli alunni

Inizia Hui: “In confronto con l’Europa, l’Africa è un continente molto più povero e in difficoltà. Questa mostra fa vedere alle persone un altro mondo, del tutto diverso. Nell’ambito del lavoro, gli africani svolgono lavori molto più stancanti rispetto ai nostri e devono usare le proprie mani per farlo. Hanno poca igiene”. Nella mostra “c’è la presenza del terzo mondo, aggiunge Lucrezia. E Ying commenta: “Hanno una vita molto faticosa, ma nonostante ciò non si arrendono”.

Studenti in visita alla mostra “Africa” di Salgado, al Binario49, Reggio Emilia 2019.


Interviene Ettore: “Secondo me la mostra è molto interessante, anche perché ti rendi conto della differenza che c’è tra il mondo europeo e il terzo mondo. Noi non ci rendiamo conto della differenza che c’è. C’è della gente che tutti i giorni rischia la vita, senza colpa”. Gli fa eco Luca: “A me ha fatto pensare che noi abbiamo già a disposizione tutto, strumenti elettronici e materiali del ventunesimo secolo, ma a poca distanza da noi ci sono persone che fanno ancora lavori manuali, che in Europa sono il 3%. È diverso anche il modo di lavorare e quello di gestire la vita”. Per Bianca e Aida “è stata un’esperienza emozionante, che ci aspettavamo diversa” .

Il professore chiede: “Se voi fate una foto, poi ci lavorate sul colore ecc… Qui le foto sono in bianco e nero. Dovete pensare che per quasi un secolo la fotografia è stata in bianco e nero. Qual è la differenza?”. Mattia ha una risposta: “Allora, per me il bianco e nero, in confronto ad adesso, è più… nell’occhio, perché ci può far capire in due soli colori la fotografia. Mentre adesso, vedendo tanti colori in una foto dei giorni nostri, non è più così evidente l’elemento che vuole rappresentare, ma quasi ti distrae”. Hui è d’accordo: “Con tanti colori non vai all’argomento, invece con due colori è più chiaro”. Lucrezia spiega che “è più difficile rappresentare qualcosa in bianco e nero, perché con due colori è anche più difficile rappresentare le emozioni della foto, mentre coi colori è più facile capire che emozione si prova. C’è bisogno di più espressività del viso, rispetto a quella a colori”. I colori, per noi, sono anche simbolici, invece davanti ad una foto in bianco e nero perdiamo tutto il significato simbolico (il rosso, il blu e il verde sono solo tre sfumature di grigio, non colori che ci danno emozioni). I simboli non sono rappresentati, quindi sono le forme che simboleggiano, non i colori.

.

YING, 2019

Le foto di questo articolo sono di Lucrezia e Ying. La mostra “Africa” è a Reggio Emilia fino al 31 marzo 2019, visitabile gratuitamente nei weekend. La seconda parte della mostra, dedicata ai paesi dell’Africa centrale – come il Ruanda – è in esposizione allo Spazio Gerra.

Se conosci la lingua inglese, ti consigliamo di guardare “The silent drama of photography”, un breve racconto in cui Salgado parla del suo passato di fotografo e del suo impegno attuale per l’ambiente.

Lascia un commento