Andreuccio da Perugia #1

Dopo il grande successo di “Chichibio e la gru“, Mario (un alunno della classe 2E, IC Leonardo da Vinci di Reggio Emilia) ha trasformato in un fumetto anche la storia di Andreuccio da Perugia, tra le più famose novelle del Decameron di Giovanni Boccaccio:

Un giovane perugino di nome Andreuccio, sensale di cavalli, avendo sentito dire che a Napoli era possibile fare buoni affari, si mise in borsa cinquecento fiorini d’oro e con altri mercanti si recò nella città, dove peraltro non era mai stato.

Il giorno dopo il suo arrivo, si mise a gironzolare per il mercato e a contrattare alcuni cavalli che gli erano piaciuti, senza però riuscire ad accordarsi sul prezzo. Come un vero allocco, durante le trattative Andreuccio mostrò più volte la borsa con i fiorini, per far vedere che non era uno squattrinato perditempo ma uno che aveva intenzione di concludere effettivamente un affare.

Una giovane siciliana, bellissima e non proprio onesta, che si aggirava per il mercato in cerca di polli da spennare, adocchiò il giovane e, soprattutto, la borsa che andava mostrando a destra e a manca e pensò di impossessarsene. La donna era accompagnata da una vecchia che, non appena vide Andreuccio, corse a salutarlo e ad abbracciarlo, perché era stata la sua balia.
La vecchia dopo un po’ si congedò da Andreuccio promettendogli una visita presso l’albergo nel quale
alloggiava. Il giovane se ne tornò quindi ai suoi affari, senza però concluderne alcuno e dunque senza spendere il gruzzolo che gli tintinnava nella borsa.
La siciliana cominciò a fare domande alla vecchia, per sondare il terreno e vedere se c’era un sistema per fare la festa a quel babbeo. La vecchia le raccontò tutto: era stata lungamente a servizio del padre di Andreuccio, prima in Sicilia e poi a Perugia, e della famiglia del giovane conosceva vita, morte e miracoli.

La siciliana, una volta che arrivò a casa, mandò una sua cameriera all’albergo del giovane per invitarlo. Andreuccio, che pensava di avere un fascino senza pari, immaginò che l’invito provenisse da una donna che aveva perso la testa per lui e, tutto ringalluzzito, seguì subito la cameriera fino alla contrada Malpertugio, una zona davvero malfamata, dove la siciliana abitava.
Non appena vide arrivare Andreuccio, la donna gli corse incontro a braccia aperte, lo baciò singhiozzando, lo prese per mano e, quasi senza proferir parola, lo condusse in casa.
La donna disse: – Tu non mi conosci e probabilmente nessuno ti ha mai parlato di me. Io mi chiamo Fiordaliso e sono… tua sorella! Ed ora ti rivedo!

Dopo la chiacchierata, la donna convinse Andreuccio a restare per cena e astutamente tirò a chiacchierare fino a tardi. Quando per Andreuccio si fece l’ora di tornare in albergo, Fiordaliso lo invitò a passare la notte a casa sua e il giovane accettò.
A notte inoltrata, Andreuccio andò a dormire nella camera che era stata preaparata per lui. C’era un gran caldo: il giovane decise di spogliasi. Poi si accomodò al cesso per sgravare la pancia della grande mangiata che si era fatto. Ma era una trappola: una trave sulla quale aveva messo il piede si ribaltò e il giovane cadde in basso, finendo in un vicoletto pieno di merda che lo imbrattò da capo a piedi.
Dibattendosi nella melma, Andreuccio cominciò a chiedere aiuto ma nessuno lo ascoltava. Nel frattempo la finta sorella si era introdotta nella sua stanza e si era impossessata della borsa con i fiorini.

Andreuccio, che ormai aveva capito d’essere stato fregato, riuscì ad uscire dal vicolo e a raggiungere, tutto insozzato, l’uscio di madonna Fiordaliso. Qui si mise a bussare e a strepitare, picchiando sulla porta con una pietra: – I soldi, assassini, ridatemi i miei soldi….!

Allo strepito, le finestre dei vicini di casa si andavano aprendo e si affacciavano persone infastidite che, pensando che si trattasse di un giovinastro che voleva infastidire Fiordaliso, gliene dicevano di tutti i colori: “E vattene!”, “Torna domani, minchione!”, “Ci vuoi lasciare dormire in pace?”.
Alla fine la porta di Fiordaliso si aprì e ne venne fuori un tipo barbuto, veramente enorme, che gli promise tante bastonate se non se ne fosse andato subito.
Qualcuno da un’altra finestra urlò compassionevole ad Andreuccio: – Vattene, ragazzo, o questo ti fa la pelle!

Il giovane, terrorizzato, sporco e puzzolente, pensò di raggiungere la spiaggia e darsi una lavata con l’acqua del mare.

A un certo punto vide due tizi che avanzavano verso di lui con una lanterna in mano. Andreuccio si spaventò di nuovo, pensando che fossero due guardie o due bricconi; per evitarli si acquattò in un vicino cortile, ma i due tipi andarono a finire proprio lì e si misero a parlare tra loro. Poi uno dei due iniziò a tirare con il naso: – Che è sta puzza incredibile? – disse. Si guardò intorno con la lanterna, finché dall’oscurità non emerse la figura del povero Andreuccio, tutta imbrattata e puzzolente. Andreuccio raccontò quello che gli era capitato.

Anche se hai perso i denari ti è andata bene – gli dissero i due – quello avrebbe anche potuto ammazzarti. Non lamentarti e non fare parola con alcuno di quello che è successo, o verrà a cercarti per farti secco. Se vuoi, unisciti a noi: stiamo andando a fare un colpo niente male e potrai rifarti dei soldi che ti hanno fregato. Oggi è morto l’arcivescovo, lo hanno seppellito nel duomo con ricchi ornamenti e con un rubino al dito che da solo vale più di cinquecento fiorini! Tu aiutaci a fare il colpo e noi divideremo con te il bottino.
Andreuccio, disperato per aver perso i soldi, li seguì senza riflettere su quello che faceva.

Ma i due vollero che prima si ripulisse un poco, perché Andreuccio puzzava come una fogna, e perciò si recarono ad un vicino pozzo. Giunti nel posto, trovarono la fune ma non il secchio per attingere l’acqua, che qualcuno aveva forse rubato. Allora convinsero Andreuccio a calarsi giù con la fune, in modo che potesse lavarsi. Mentre i due aspettavano che il giovane finisse l’operazione per tiralo su di nuovo, arrivarono due guardie assetate. I ladri pensarono bene di svignarsela, visto che la loro presenza lì di notte, con gli attrezzi da scasso che avevano appresso, poteva essere sospetta.

Le guardie cominciarono a tirare su la fune, aspettandosi di issare un bel secchio d’acqua fresca. E invece apparve Andreuccio, tutto grondante d’acqua, che subito si aggrappò al parapetto per non ricadere giù nel pozzo. Le guardie a quall’apparizione inattesa se la fecero sotto e scapparono, lasciando attorno al pozzo le loro armi.

Dopo un po’ ritrovò i suoi compagni, e i tre si recarono al Duomo, vi entrarono zitti zitti e arrivarono davanti al sepolcro dell’’arcivescovo. Sollevarono con gli attrezzi che si erano portati il pesante coperchio di marmo, tanto quanto bastava a far passare un uomo, e lo puntellarono.
– Chi entrerà dentro? – disse a questo punto uno dei ladri.
– Io no – rispose l’altro.
– Io neppure – rispose il primo – Ci entrerà Andreuccio.
– Io? – disse Andreuccio – E perché proprio io?
– Come, non vuoi entrarci? – dissero i due compari facendosi minacciosi – Mica ti abbiamo portato qui per niente: se non entri ti spacchiamo la testa con questi paletti.

Andreuccio si rese conto che non poteva rifiutarsi o lo avrebbero accoppato e perciò si calò nella tomba.

Appena dentro, levò l’anello al morto e se lo mise al dito…

…poi passò ai due ladri tutto il resto, la mitra, il pastorale e perfino la camicia dell’arcivescovo, e disse che non c’era più niente.

– Cerca bene – gli fecero i due ladri – ci deve essere l’anello.
– Macché anello – disse Andreuccio – non c’è più niente.

I ladri si convinsero che l’anello non c’era per davvero, perciò tirarono via il puntello che sosteneva il coperchio del sepolcro e se la svignarono, lasciando Andreuccio rinchiuso dentro, in compagnia del morto.

Andreuccio, disperato, provò senza riuscirci a sollevare il pesante coperchio, facendo pressione con la testa e con le spalle, finché non cadde svenuto sull’arcivescovo.

Quando Andreuccio si riebbe, trovandosi nel buio appestato dal lezzo del cadavere, cominciò a piangere, pensando che sarebbe finito male: sarebbe crepato lì o si sarebbero accorti della sua presenza e lo avrebbero fatto impiccare!
Mentre si angustiava in questi pensieri, sentì dei rumori e intuì che si trattava di gente che voleva fare quello che lui e i due che lo avevano rinchiuso là dentro avevano già fatto.

Infatti i nuovi arrivati alzarono il coperchio del sepolcro, lo puntellarono e subito si misero a questionare su chi doveva calarsi all’interno.

Dopo un lungo alterco, uno di loro, un prete, disse: – Ma di che vi spaventate, credete che il morto vi mangi? Ci entrerò io, vigliacchi!
Così detto, posto il petto sopra l’orlo del sepolcro e mandando giù le gambe, si calò dentro.

Andreuccio lo acchiappò per una delle gambe e cominciò a tirarlo. Il prete urlò terrorizzato, si precipitò fuori dal sepolcro e se la diede a gambe levate con gli altri suoi compari, come se fosse inseguito da centomila diavoli.
Andreuccio poté finalmente uscire dalla tomba, allontanarsi dalla chiesa e raggiungere il suo albergo.

Fatti velocemente i bagagli, se ne tornò a Perugia.

All’arrivo suo padre gli chiese: – Hai fatto buoni affari?
– Ottimi! – rispose Andreuccio – Non ho trovato cavalli che mi piacessero ma ho investito quanto avevo in questo splendido anello!

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