L’investigatore Marlowe / 1

Nel mese di marzo 2022, nella classe 2D (IC Leonardo da Vinci di Reggio Emilia) stiamo studiando il genere “giallo“, e accanto a tante letture abbiamo provato anche un esercizio di scrittura proposto sul nostro testo. Si trattava di continuare un brano di Raymond Chandler (tratto dal primo romanzo hard boiled “Il grande sonno”, del 1939) nel momento in cui l’investigatore Philip Marlowe, dopo un burrascoso inseguimento, entra in una casa da cui ha visto scappare qualcuno nell’auto che stava seguendo. L’esercizio richiedeva di rendere coerente non solo la trama della narrazione, ma anche il personaggio di Marlowe e lo stile dello scrittore. Eccovi dunque le prime due storie “alla Chandler”:

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Mi avvicinai alla casa senza fretta, aprii lentamente la porta, il cui cigolio si mischiò col suono dell’autovettura e mi ritrovai davanti alla sala principale. Era ben arredata e proveniva una luce vivace dai finti candelabri, salii le scale e vidi delle foto di famiglia, la cui data risaliva intorno al 1903. Si potevano vedere ragazzi e altre persone più mature, fra i venti e i trent’anni di vita. E una donna di cinquant’anni.

Salii di fretta al secondo piano e notai subito che una stanza da cui proveniva una fredda luce era aperta. Notai una donna a terra vicino al tavolo al centro della stanza, aveva una posizione forzata, era ovvio che aveva sbattuto contro il tavolo, e il suo corpo era ancora tiepido. Le pareti erano riempite di mobili, tranne una parte del muro con dell’intonaco rovinato che rovinava il tutto, rendendo il posto un tantino privo di eleganza. La stanza era arredata con armadi d’epoca, dopo il mio sguardo tornò sul tavolo dove si trovava un AK47 senza cartucce, con cui non poteva essere stato effettuato il delitto… Il rumore sarebbe stato troppo forte, l’assassino doveva aver preso con sé un’altra pistola per uccidere la signora… Sempre se era stato un omicidio.

Finii il whisky nonostante il dolore allo stomaco, vicino alla signora trovai un kunai, un’arma da punta giapponese – non era insanguinato – e una busta con dentro una lettera che parlava di un signore e una signora Stevenson. Decisi di tornare a casa dopo che, oltre al mal di pancia, mi scoppiò anche la testa.

Il giorno dopo andai alla polizia dal mio amico Falo Ace (se li invertiamo diventa “acefalo”) e gli chiesi se avessero qualcosa di “sporco” sul conto della coppia. Mi riferì che l’unico fatto sospetto era che il marito era stato accusato dai suoi vicini di possesso di armi illegali, ma non c’era nessuna prova a suo carico. Sulla donna non si sapeva nulla. Ah, quasi dimenticavo, l’uomo aveva abitato due anni prima in Roadstone Street.

Decisi di andarci e, in effetti, quando mi presentai con la mia vecchia divisa di servizio da sceriffo, l’uomo sembrava scosso e si rifiutò di aprire, ma dopo qualche piccola minaccia lo costrinsi ad aprire la porta. Il suo appartamento era elegante, mi portò in salotto e mi fece sedere su una poltrona in pelle. Approfittai del momento e, sperando non fuggisse, diedi uno sguardo al salotto e non notai niente di strano, a parte una cassa moderna (per quei tempi) chiusa con tre lucchetti pesanti. Quando arrivò mi disse: “Perché un piedi piatti dovrebbe venire a casa mia? Una nuova accusa? Dai, anche questa volta non riuscirete a dimostrare niente, dovreste smetterla di cercare di incastrarmi”. Non mi preoccupai di quello che mi disse.

MAYA, 2022

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Aprii con cautela e incertezza quella grossa porta di rovere che chiudeva la villetta. Da quella piccola fessura che ero riuscito ad aprire cercai di spiare la situazione. Tutte le luci erano spente e la temperatura era abbastanza fredda. La casa era silenziosa, troppo silenziosa, c’era odore di muffa e mi sembrava strano, perché da quello che mi avevano raccontato, Geiger era un uomo freddoloso ed estremamente ordinato. Quindi, a questo punto, potevo solo immaginare che la casa non fosse stata abitata per molto tempo e che anche l’interno non fosse messo benissimo. Dov’era stato quindi il signor Geiger per tutto questo tempo? Ma cosa stavo facendo? Non era certo il momento di pensare, magari la signora che era entrata era in pericolo.

Mi ridestai e a grandi passi attraversai quella buia stanza, illuminata solo dalla finestra che dava sul giardino principale. Dai pochi mobili che c’erano potevo supporre fosse una cucina. Con la fioca luce che c’era intravidi una carta da parati marroncina, il frigo, i fornelli e il tavolo e le sedie malconce. Il legno era marcito e si potevano notare i buchi fatti dai tarli. Mentre avanzavo riuscii ad udire il rumore di qualcosa che si muoveva, veniva da destra…

Prima di andare a controllare andai a ispezionare anche le altre stanze. Entrai nello studio, diedi un’occhiata veloce: c’erano parecchie bottiglie di whisky vuote, i libri avevano dei buchi e anche la scrivania era disordinata e rovinata. La moquette sul pavimento col tempo si era fatta umida e il tessuto era diventato ispido, per terra c’erano numerosi fogli che gli insetti della carta si stavano mangiando.

Tutto regolare, più o meno.

Mi rassicurai vedendo che lì non c’erano tracce di sangue né di oggetti che potessero ferire qualcuno. Entrai, attraverso un corridoio, nella camera da letto. Il pavimento era freddo e umido e dal soffitto passava qualche goccia d’acqua. Le pareti erano grigiastre e sporche di muffa e polverose. L’aria dentro quella stanza era la peggiore di tutte, c’era freddo e molta umidità. La grande finestra era bagnata da acqua sporca e ricoperta di pezzi di foglie. Il piccolo letto era sfatto e le lenzuola, una volta bianche, erano ricoperte da un pesante strato di polvere. L’armadio, che doveva essere degli anni ’30, era logoro e usurato. Le larve del legno lo avevano ridotto molto male e, dato che le ante erano aperte, si poteva notare che alcuni pezzi del fondo erano caduti e col tempo erano marciti. Il pavimento era di assi di abete ricoperte da numerosi cadaveri di insetti e il tappeto color bordeaux era sciupato, con le frange rosicchiate e sfilacciate. Mentre mi spostavo verso l’altra stanza vidi con la coda dell’occhio un topo che si avvicinava al tappeto, questo poteva spiegare il perché fosse così rovinato. Rabbrividii.

Mi avvicinai all’ultima stanza e anche quei rumori irriconoscibili che avevo sentito per tutto quel tempo aumentavano di intensità. Ero davanti alla porta, silenziosamente la aprii e vidi la signora che era entrata poco prima. Era snella e piccola, aveva folti capelli rossi, gli occhi erano di un intenso color blu e indossava un lungo vestito nero. Era stata legata a una colonna di quello che in teoria doveva essere uno sgabuzzino.

Senza farmi prendere dal panico, rapidamente slegai la ragazza e le tolsi lo scotch dalla bocca. Lei prese un grande respiro e io cercai di tranquillizzarla. Appena si riprese, gli chiesi per prima cosa se fosse ferita e poi se il signor Geiger fosse ancora nella casa. Lei mi disse che si chiamava Carmen, l’uomo l’aveva solo legata e lei non era riuscita a fermarlo. Per la seconda domanda, grazie alle prove che aveva lasciato, l’unica spiegazione era quella che si fosse calato dalla finestra del piano di sopra, che dava su un grande bosco dove si poteva nascondere nel caso qualcuno avesse scoperto dell’accaduto.

Quando la signora finii di spiegarmi tutto, uscimmo insieme dalla casa. Le offrii poi un bicchiere di whisky, anche se non era una bevanda molto “aristocratica” da servire a una signora. Per me iniziò il momento dell’interrogatorio. Le feci molte domande, ma quella più esauriente fu la prima: perché lei era li? Lei mi spiegò che era a conoscenza di un segreto dell’uomo: quest’ultimo per soldi era arrivato a uccidere una loro amica e lei lo avrebbe denunciato. Lui la pregò di non dire nulla, ma la ragazza accettò solo per soldi. Il patto era di 350 $ al mese.

Era difficile per Geiger mantenere la paga, per quello che guadagnava, ma riuscì ad andare avanti per più di un anno. Per l’uomo e per il suo negozio iniziò un periodo di “carestia di denaro” e per un lunghissimo tempo non era riuscito a darle quello che le doveva, così lei lo aveva minacciato di dire tutto alle autorità. Quindi, in poche parole, il ricattatore era stato ricattato.

Poi quel giorno Geiger aveva invitato Carmen a casa sua dicendole che l’avrebbe pagata. Se l’avesse tolta di mezzo nessuno avrebbe sospettato di niente e lui avrebbe ottenuto tutto il denaro che voleva.

Poco dopo arrivò la polizia che iniziò a fare gli interrogatori e a raccogliere prove, ma non erano riusciti a capire dove avesse vissuto Geiger per tutto quel tempo e dove fosse scappato qualche ora prima.

MAVI, 2022

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Leggi i tre racconti pubblicati nella seconda parte. In copertina e nell’articolo: Reggio Emilia by Night (2021).

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